lunedì 4 agosto 2025

Ghiaccio Bollente: esplorazioni glaciovulcaniche in Islanda

 

Where the glacier meets the sky, the land ceases to be earthly, and the earth becomes one with the heavens; no sorrows live there anymore and therefore joy is not necessary; beauty alone reigns there, beyond all demoands."

Halldòr Laxness, World Light ,1937


Le grotte glaciali non sono tutte uguali. Nel panorama della speleologia praticata all'interno dei ghiacciai, esiste una particolare tipologia di vuoti collegati al complesso rapporto tra masse glaciali e attività vulcanica. Se le grotte endo e subglaciali 'normali' sono legate all'energia immessa nel sistema da aria e acqua, quelle di tipo glaciovulcanico, (anche note come FIC: Fumarolic Ice Cave) aggiungono all'equazione l'energia prodotta dall'attività vulcanica, magmatica o idrotermale. Il tutto rende estremamente complicato fare modelli evolutivi e morfodinamici per questo tipo di cavità che oltretutto sono attualmente estremamente rare sul pianeta. Nonostante gli edifici vulcanici attivi con copertura glaciale siano decisamente parecchi (circa 250), attualmente l'esplorazione e lo studio di questi fenomeni si limita ad una manciata di luoghi: Monte Erebus, Rittmann, Melburne e Berlin in Antartide; Cascade Range tra Stati Uniti e Canada (Monte Rainier, S.Helens, Meager, Hood), qualcosa sul Monte Mutnovskij, Ushakovsky e Klyuchevskaya Sopka, in Kamcatka nell'estremo est della Russia e per fortuna anche in Islanda. Proprio quest'isola meravigliosa è stata oggetto nel mese di luglio di pre-spedizione per verificare la situazione dal punto di vista glaciovulcanico e le potenzialità di diverse aree. Grazie al lavoro esplorativo svolto dagli anni '80 da Gerarld Favre, sappiamo bene che l'Islanda ospita alcune incredibili cavità glaciovulcaniche. La "Riviere chaude" e la "Riviere supérieur" sul fronte settentrionale dell'enorme ghiacciaio del Vatnajokull sono luoghi semplicemente leggendari sia per i loro caratteri morfologici che per le modalità con cui furono esplorate. La "Riviere supérieur" in particolare, con uno sviluppo nel 1986 di circa 2800 metri e un dislivello di circa 525 metri è qualcosa di unico. Le cavità glaciali sono però qualcosa di mutevole e quelle legate al vulcanismo non sono da meno. Vivono un equilibrio dinamico sottile e anche per loro purtroppo tra le variabili va inserito il cambiamento climatico che agisce anche in Islanda. Nel caso di questa grotta, una spedizione del 2004 rilevava come avesse perso oltre mezzo chilometro di sviluppo e più di cento metri di profondità. Se una grotta perde dimensioni, altre però ne possono comparire in altre zone del ghiacciaio. Proprio in questa prospettiva abbiamo deciso di verificare la situazione anche nella zona esplorata da Favre. Nelle tre settimane di spedizione i risultati sono stati decisamente buoni. L'Islanda ospita un mucchio di vulcani, buona parte attivi e parecchi sepolti sotto enormi ghiacciai e capaci anche di mostruose eruzione subglaciali. Sotto il Vatnajokull sono almeno quattro di edifici vulcanici attivi presenti. Alcuni sepolti sotto un chilometro di ghiaccio. Il Vatnajokull è qualcosa di difficile da descrivere per dimensioni e vastità: per comparazione si può prendere la Corsica e immaginarla tutta di ghiaccio. Ecco queste sono più o meno le dimensioni di questo ghiacciaio.

I nostri sforzi si sono concentrati nell'area settentrionale attorno alle due caldere del Kverkfjoll e nella zona del Dyngjujokull. La situazione rispetto agli anni delle esplorazioni svizzere è cambiata abbastanza. Alcune zone sono deglaciate, l'attività fumarolica sembra aver avuto un incremento negli ultimi anni o forse è più evidente per l'assottigliamento di una parte del ghiacciaio. In tutti i casi, anche l'analisi delle immagini satellitari degli ultimi dieci anni, mostra una situazione molto dinamica, con la comparsa ciclica di importanti laghi marginali e numerosi nuovi ice cauldron, grandi calderoni di ghiaccio legati all'attività idrotermale. Calderoni a volte enormi, che si presentano come veri e propri 'chimney' camini o pozzi glaciali da cui fuoriescono grandi nuvole di gas (fortunatamente vapore-dominante). Abbiamo provato a verificare lo stato della "Riviere supérieur" ma purtroppo la grotta posta sul margine di una lingua secondaria, sembra aver perso ulteriore sviluppo. Dei suoi 4 ingressi presenti nell'ultimo rilievo del 2004, nessuno appariva transitabile, mentre grandi seracchi e frammenti di galleria giacevano franati alla rinfusa attorno ad ampie zone geotermiche attive. Probabilmente la parte più profonda, ovvero almeno 1,7 chilometri, potrebbe ancora esistere, ma non è chiaro come raggiungerla. Nella zona più a monte, le nuove condizioni hanno invece fatto comparire gli ingressi di 'nuovi' sistemi. Abbiamo identificato numerosi imbocchi anche di grandi dimensioni, direttamente collegati ad importanti fenomeni geotermici, tra cui una grande 'risorgenza' probabilmente collegata ad alcuni calderoni glaciali che aspetta di essere esplorata. Il sistema di Hveradalur è sicuramente il più importante che abbiamo documentato si sviluppa per oltre 900 metri (di cui 750 rilevati). Attualmente presenta 4 ingressi, di cui uno rappresentato da un grandioso camino glaciale di circa 50 metri di profondità il cui fondo appare occupato in parte da un lago di acqua bollente e in parte da un grandissimo lago subglaciale che abbiamo raggiunto dall'interno e che una apertura sulla volta mette in comunicazione con l'esterno: lago Ganimede. Questa imponente struttura, per come si presenta oggi, testimonia una  fase nel ciclo di vita di  lago subglaciale posto sopra un punto geotermico. Il campo geotermico posto sul bedrock, fonde infatti una parte di ghiaccio creando una sacca d'acqua a forma di campana e allo stesso tempo innescando la depressione concava sulla superfice glaciale: la prima fase di un ice cauldron. Tutto il processo è regolato da una grande quantità di variabili: spessore del ghiaccio, suo movimento, flusso geotermico, struttura del bedrock ecc. ecc. Si tratta di un equilibro dinamico entro cui si possono produrre enormi laghi subglaciali anche a grandi profondità nel ghiaccio, ovviamente pieni di acqua e sotto pressione. Quando l'equilibrio si rompe, il lago trova il modo di fuoriuscire creando le condizione per un glof, un outburst di dimensioni a volte eccezionali che prende il nome di Jokulhlaups - Qualcosa che si traduce come Tsunami di ghiaccio. Le vie attraverso cui l'acqua irrompe possono essere sia grandi tunnel subglaciali che il momentaneo sollevamento di parte del ghiacciaio dal fondo. Ovviamente i vuoti di grandi dimensioni che si vengono a creare, sono rapidamente riassorbiti dalla massa glaciale appena il flusso cessa. il risultato sono grandi collassi o morfologie concave sulla superfice glaciale. Nel caso dei calderoni, quando i laghi sottostanti si svuotano, si assiste ad una loro ristrutturazione, sono forma di approfondimento. Se lo spessore del ghiaccio è limitato, inferiore ai cento metri circa rispetto al bedrock su cui poggiava il lago, la rigidità del ghiaccio sotto bassa pressione, può portare alla momentanea conservazione di alcune strutture e camere, che comunque sono destinate ad un rapido collasso. L'enorme lago che abbiamo raggiunto sembra rispondere a questa fase transitoria del processo. La camera all'apparenza circolare, presenta infatti un diametro di circa 70-80 metri su un altezza di circa 10-15, una cupola estremamente schiacciata completamente occupata da un grande lago immerso nei vapori geotermici. Le dimensioni di questa struttura non ne permettono la stabilità una volta svuotata e infatti come a ricordarcelo, dalla sponda frequenti crolli potevano essere uditi provenire ed echeggiare dalla nebbia. Tutto questo porta ad immaginare come il lago si trovasse in fase di svuotamento, mentre il limitato spessore del ghiaccio (circa 50 metri) rispetto alla superfice, porta ad immaginare come il calderone evolva verso un camino totalmente aperto alla cui base tornerà a formarsi in futuro un lago ma di tipo subaereo. Molto probabile che oltre il lago si trovino attualmente gallerie di grandi dimensioni in formazione. D'altro canto, già dall'ingresso principale la grotta ti fa capire che non stai entrando in un posto 'ordinario'. Il torrente che infatti inghiotte, nasce poche decine di metri a monte da una polla termale e presenta una temperatura di circa 95°C capace di riempire le prima centinaia di metri di grotta glaciale di fumi e vapori surreali. Anche all'interno delle grandi gallerie, altre piccole zone fumaroliche, permettono l'alternarsi di ambienti enormi a tratti di minori dimensioni, creando una incredibile quantità di morfologie legate ai flussi termici convettivi, tra cui giganteschi scallops. La grotta presenta attualmente due rami paralleli attivi che sembrano convergere e che presentano altrettante prosecuzioni. Le condizioni di respirabilità nelle grotte glaciovulcaniche non vanno mai date per scontate. Non è mai semplice immaginare di cosa sia composto il vapore che ti avvolge e se dietro quella curva ci sarà ancora abbastanza ossigeno. Per fortuna oltre ai sensi, anche i sensori aiutano parecchio e sempre per fortuna in questa grotta le condizioni non erano poi male. Una certa percentuale di CO2 ma non troppa da essere pericolosa e anche l'ossigeno mai sotto il 19%. 

Non abbiamo potuto dire la stessa cosa per esempio quando siamo andati a rivedere la "Riviere chaude" esplorata dagli Svizzeri. Qui oltre a controllare che dal soffitto dell'enorme galleria non ti caschi in testa qualcosa, devi anche tenere d'occhio il multigas. A circa 150 metri dall'ingresso, il tenore di ossigeno infatti precipita rapidamente: in un attimo ti trovi avvolto dalle nebbie che neanche nella bassa Padana e scopri che quello che respiri non va bene. Per evitare sorprese ci siamo dovuti fermare al 17% di ossigeno e infatti gli svizzeri, oltre questa zona avevano usato gli apparati di respirazione autonoma per proseguire di alcune centinaia di metri immersi in un atmosfera con oltre il 10% di CO2.

Tutto il drenaggio del sistema glaciovulcanico di Hveradalur (con portata osservata >100 l/s ma che può sicuramente raggiungere portate molto più alte ed appare anche in relazione alla ciclica apparizione e sparizione di un grande lago geotermale-marginale che in alcuni anni occupa la parte meridionale della valle a contatto con il fronte glaciale) dovrebbe scorrere sotto una parte del Dygjujokull e quindi fare parte delle sorgenti tributarie del fiume Jokulsa a Fjollum, anche se per ora non è assolutamente chiaro in quale punto di questa enorme zona sorgentizia. La presenza molto probabile di ulteriori campi geotermali sotto il ghiacciaio del Dygjujokull, (testimonianti da alcuni calderoni, ma principalmente da frequenti glof, rende molto interessante approfondire questa via di drenaggio. 


L'attività e le ricerche nelle grotte glaciovulcaniche è un qualcosa di decisamente affascinante e in buona parte ancora da inventare. Moltissimi sono i punti interrogativi sulle dinamiche che agiscono in questi luoghi e tantissime le linee di ricerca che possono essere avviate tanto dal punto di vista geochimico e speleogenetico, quanto da quello biologico. Ma ancora prima di entrare sono molte le soluzioni tecniche da immaginare anche solo per esplorarli. Già i grandi camini-calderoni sono per esempio una sfida tecnica dal punto di vista del materiale d'armo. Aprendosi su neve in via di trasformazione e firm e non su ghiaccio vivo, non permettono l'uso delle viti da ghiaccio e obbligano ad immaginare corpi morti anche di grandi dimensioni, il tutto senza sapere bene in quali condizioni di temperatura, atmosfera, visibilità e acqua ti troverai alla base del pozzo! Perplessità che già prima di partire ci aveva portato a fare abbondante umorismo sui nostri tentativi di finire "Bolliti in un pentolone di ghiaccio!"

Non solo maschere ma anche sistemi di respirazione autonoma sono per esempio materiali già di uso comune per esempio nelle esplorazioni sul Rainier per documentare i grandi laghi mortali di CO2 (ovviamente invisibili!). Insomma un gran bel gioco da tutti i punti di vista.

Come ho detto, allo stato attuale le grotte glaciovulcaniche note e documentate sono ancora poche nel mondo. Quella con il maggiore sviluppo e con la maggiore storia di studi morfodinamici, è il Sistema del Monte Rainier (USA) con uno sviluppo attuale di circa 3500 metri, a cui potrebbe seguire con meno di 2000 metri ciò che resta della 'Riviere Supérieur', forse una grotta sul monte Mutnovsky in Russia, di circa 1 chilometro (mancano conferme), le grotte Mothra e Rodans sul monte S. Helens, rispettivamente con 798 e 750 metri e la MC3 esplorata per circa 685 metri sul Monte Melbourne in Antartide. In questa prospettiva il nuovo sistema glaciovulcanico di Hveradalur, che abbiamo esplorato per oltre 900 metri si pone tra le principali cavità di questo tipo attualmente esistenti e crediamo abbia ancora parecchio da raccontare. Allo stesso tempo quello che più affascina di questo tipo di grotte è proprio la complessità del loro comportamento morfodinamico sospeso tra frammenti del sistema stabili e frammenti sempre mutevoli. Una complessità che obbliga a immaginare progetti di studio e monitoraggio complessi: capaci di raccogliere dati da tutti i molteplici parametri climatici coinvolti. Per esempio, differenza delle normali grotte glaciali che d'inverno vengono riassorbite dal ghiacciaio, quelle glaciovulcaniche appena le nevicate chiudono gli ingressi, vivono in splendido isolamento come bolle di vuoto capaci al contrario di crescere ed aumentare il proprio volume proprio in ragione dell'isolamento dall'esterno. Le fumarole interne non solo conservano meglio il calore capace di fondere il ghiaccio, ma sono capaci anche di mandare in sovrapressione l'ambiente interno. Il ciclo dei laghi sublglaciali e dei calderoni appare estremamente complesso e allo stesso ritma e definisce la struttura dei grandi drenaggi subglaciali. Una danza continua tra interno ed esterno, tra impulsi freddi e impulsi caldi, capace di scolpire e dare forma a luoghi incredibili. Luoghi dove ti muovi in punta di piedi, in un continente sconosciuto, sospeso tra stupore e meraviglia.

Partecipanti: Andrea Benassi (Acheloos Geo Exploring); Lorenzo Bordin (Gruppo Speleologico Lavis); Cristian Monticone alias Lazzaro (Gruppo Speleologico Piemontese CAI-UGET); Maria Trombini (Gruppo Speleologico Lavis)




In alto a sinistra si riconosce l'imbocco del calderone glaciale "Encelado" da cui fuoriesce l'enorme flusso di vapore. Sotto il calderone, profondo 50 metri, si trova l'enorme camera ancora occupata dal lago subglaciale "Ganimede". Sulla volta, in via di collasso, si è aperto un ingresso, mentre su una parte del calderone, parte del bedrock mostra grandi bollitori da cui fuoriesce acqua bollente.

Uno degli ingressi del sistema di Hveradalur. Il torrente proveniente dalla polla presenta una temperatura di 95°C

Moby Dick: uno degli enormi ingressi che si aprono in una zona a monte del sistema Hveradalur che si apre in ciò che resta di un calderone. Dalla grotta emerge un flusso importante di acqua calda e vapore, testimoniando la presenza anche a monte di attività geotermica e la probabile connessione con altri calderoni a monte. In alto sulla parete si aprono anche grandi condotte endoglaciali, probabile testimonianze 'fossili' di quando il calderone non era ancora 'aperto' ed i flussi vaporosi provenienti dal lago subglaciale dovevano trovare altre vie per risalire sulla superfice. Le acque di questa zona fluiscono quindi nel sistema di Hveradalur costituendo attualmente una continuità idrogeologica nel drenaggio in ragione della morfologia del bedrock sottostante alla massa glaciale. 
Una delle gallerie attive nel sistema glaciovulcanico di Hveradalur. 



Bibliografia


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lunedì 10 febbraio 2025

La Buca dell'Inferno...

 


Grotta ipogenica legata alle emanazioni fumaroliche del campo geotermale di Larderello. Sebbene vicina a numerose fumarole e soffioni che fuoriescono dai diaspri, questa grotta si apre su un banco di calcare selcifero ed emette un getto di vapore di circa 1 m3/s ad una temperatura di 40.2 °C. Queste caratteristiche rendono questo l'ingresso carsico più caldo attualmente noto in Italia. La grotta si sviluppa come piccola condotta dalle chiare morfologie MSRF dove tutt'ora agiscono processi di condensazione e corrosione ed appare impostata su un giunto di strato. Esplorata per i primi cinque metri sembra proseguire transitabile. La temperatura estrema rende però molto pericolosa una permanenza superiore ai 10-15 minuti. Per proseguire le esplorazioni sarà quindi necessario l'uso di respiratori autonomi e tute raffreddate. 

venerdì 7 febbraio 2025

Banjšte: la montagna che fuma

 


Una delle due zone interessate dalla presenza di grandi soffioni caldi. Nel raggio di circa metri, si concentrano decine di soffioni e almeno 9 grotte ipogeniche definibili come "smoking shaft", da cui fuoriescono un totale di oltre 20 m3/s di aria calda a circa 32 °C. Un fenomeno più che raro e in Europa può essere paragonato solo alle sorgenti atmotermali di Amarantos in Grecia o ai getti di vapore Avulit a Postenam in Albania.











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mercoledì 8 maggio 2024

Il sale della Terra: grotte nei diapiri salini di Zinga

 Nel contesto delle rocce evaporitiche, l'halite, volgarmente conosciuta come salgemma è una roccia dove i fenomeni carsici si sviluppano con una rapidità di diversi ordini di grandezza superiore a quella a cui siamo abituati. La sua estrema solubilità, (fino a circa 360 grammi per litro di acqua!) rende però questi fenomeni praticamente quasi confinati nei climi aridi. C'è inoltre da considerare che sebbene banchi di halite siano presenti in grandissima quantità nelle crosta terrestre, nella maggior parte dei casi, non affiorano, ma si trovano sepolti anche chilometri sotto la superfice. Tutto questo rende le grotte nel sale un fenomeno abbastanza raro e poco comune. Senza entrare nei dettagli dei meccanismi affascinanti e complessi che regolano l'halokinesis (ovvero il movimento e galleggiamento viscoso delle masse saline nel sottosuolo), basti sapere che per nostra fortuna al sale piace spesso risalire in superfice, principalmente sotto forma di estrusioni: ovvero grandi domi o colonne saline, meglio noti come diapiri salini. Ecco cosi che in giro per il mondo troviamo una discreta quantità di questi diapiri come isole di sale delle dimensioni più varie. Alcuni interessati ancora da una spinta capace di generare delle vere e proprie 'fontane' e ghiacciai di sale che fluiscono lentamente, come i Namakier in Iran, altri oramai immobili. Troviamo grotte di sale in Israele, in Iran, in Algeria, nel deserto cileno di Atacama cosi come in quello del Tagikistan. In alcuni rari casi, grazie ad un pò di fortuna e ad un buon caprock, ovvero uno strato capace di proteggere il sale da una dissoluzione troppo rapida, troviamo fenomeni carsici di questo tipo anche in climi non propriamente desertici. In Europa per esempio troviamo importanti grotte nell'halite nel diapiro di Cardona in Spagna e in diversi affioramenti in Romania, tra cui il più importante noto come il Meledic Plateau. Rispetto al territorio italiano, nell'ambito della crisi di salinità del Messiniano, oltre alla sequenza di banchi gessosi, come ben noto si sono generati anche potenti banchi di halite. Banchi che purtroppo giacciono sepolti in profondità e infatti raggiunti in diversi casi solo dall'attività mineraria. Abbiamo però una fortunata eccezione in Calabria, nel bacino del Crotonese, dove nel contesto della nota serie evaporitica, troviamo diversi piccoli diapiri salini che affiorano in superfice. Principalmente nel territorio del comune di Casabona. La presenza di questi diapiri è nota in bibligrafia almeno dagli anni '60, nonché citata in diversi lavori sul carsismo nei gessi. Di recente alcune ricerche, hanno inoltre affrontato la caratterizzazione delle diverse facies presenti, nonché lo studio delle inclusioni fluide nei cristalli per ricostruirne le condizioni paleoclimatiche di origine. Nel contesto del patrimonio geologico nazionale si tratta di un caso praticamente unico e infatti l'area ha ottenuto negli ultimi anni, una certa visibilità come geosito e meta di turismo geologico. 







Dal punto di vista speleologico al contrario, in bibliografia non risulta documenta l'esistenza di grotte in queste formazioni. Con queste premesse, la scorsa settimana siamo andati a dare un occhiata direttamente sul posto per capire le potenzialità dell'area.

 



La nostra brevissima ricerca si è concentrata sui quattro principali punti dove affiora la matrice salina: in parte protetta da un sottile caprock breccioso e in parte sovrastata da argille. Qui abbiamo documentato l'esistenza di almeno sei grotte tra pozzi, risorgenze e inghiottitoi che si sviluppano nell'halite (in alcuni casi i fenomeni iniziano come grotte e collassi di soffusione nella matrice argillosa e quindi raggiungono lo strato salino) per un totale di circa 200 metri di sviluppo. La più lunga misura circa 70 metri e rappresenta la parte attualmente accessibile di un piccolo traforo idrogeologico saltuariamente attivo.

 Allo stato attuale delle conoscenze, questo risulta sicuramente il fenomeno più importante presente. Localmente noto come Grotte di Mandria Vecchia, dalle testimonianze raccolte è risultato conosciuto dagli abitanti di Zinga da un ingresso all'altro, da almeno 60-70 anni e percorso occasionalmente almeno fino a 15-20 anni fa, quando alcune frane lo hanno reso di difficile accesso.  Nei climi non desertici, le grotte nel sale evolvono molto rapidamente e la presenza dei depositi argillosi modifica facilmente la loro percorribilità. Proprio in questa prospettiva nei vari diapiri, ci sono diverse zone che secondo noi presentano ulteriori potenzialità esplorative. 

La solubilità del sale, rende gli speleotemi di halite, qualcosa di molto effimero e mutevole ma anche affascinante nelle forme e tipologie. Accanto a stalattiti, croste, rim, raft e tante altre forme microcristalline, nelle grotte esplorate, fanno così bella mostra anche diversi speleotemi macrocristallini a base di cristalli cubici di halite tra cui tutta una serie di stalattiti composte da una sequenza di cristalli scheletrici ed euedrali.







Vista l'estensione dei diapiri, dal punto di vista esplorativo è difficile immaginare la presenza di grandi sistemi ipogei. Allo stesso tempo, la documentazione di queste grotte, anche se di limitata estensione, aggiunge senza dubbio valore al contesto e alla sua unicità sul territorio nazionale.

 Si possono inoltre  immaginare anche interessanti ricerche e monitoraggi proprio sull'evoluzione nel tempo di questi fenomeni. Tanto il ciclo degli speleotemi, quanto l'evoluzione morfologica di questi piccoli sistemi, si prestano bene a diventare modelli da studiare.

 Ovviamente torneremo ancora sui diapiri di Zinga, magari anche in compagnia di chi sia interessato a documentare una speleologia sicuramente diversa dall'0rdinario! 


Andrea Benassi, Roberto Pettirossi, Mauro Masci











Bibliografia


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domenica 22 gennaio 2023

Grotte Vaporose e Smoking Shaft

 

Che nelle grotte circoli aria è cosa nota a tutti. Tra i differenti ingressi si instaura infatti una circolazione convettiva, dove la differenza di temperatura e l’inerzia termica generano la sufficiente spinta pressoria per superare l’attrito e mettere in movimento masse d’aria più o meno grandi. A questa forza si sommano inoltre gli effetti dell’espansione o compressione barometrica dovuta alle onde di pressione atmosferica; generando così complessi e articolati movimenti di flusso. Le grotte infatti più che respirare, parlano, anzi come diceva Giovanni, cantano una propria e peculiare melodia.


Il pennacchio di vapore uscente da una delle cavità scoperte in Grecia. Si tratta di una grotta ipogenica sulfurea, 
con uno sviluppo attuale di circa 400 metri. 

Ma se tutte le grotte, hanno una loro voce, composta dalle vibrazioni generate da invisibili flussi di gas in movimento, alcune si divertono anche a farci vedere questa voce, sotto forma di grandi flussi di vapore. Già ad alcune grotte piace proprio strafare e non è per nulla esagerato dire che fumano, tanto da meritare l’appellativo di Smoking Shaft. Ovviamente quella del fumo è una metafora per dare l’immagine della colonna di vapore che si alza da alcuni ingressi. Vapore che non deriva chiaramente da nessun processo di combustione, bensì è il semplice effetto della condensazione della componente d'acqua presente nel flusso d’aria uscente. L’aria atmosferica e ovviamente anche quella circolante in grotta, contiene sempre una certa quantità di acqua in fase gassosa. Quantità che esprime appunto la sua umidità relativa. Ovviamente sotto forma di percentuale, perché una delle più importanti magie dell’aria è proprio quella di poter trattenere quantità variabili di acqua in funzione della sua temperatura. Se così non fosse, potremmo dire addio a tutto il ciclo dell’acqua e forse anche alla vita. Fortunatamente per noi l’aria ha un carattere mutevole, e basta un po' di freddo per far sbocciare la rugiada e magari far piovere. 



Il flusso di vapore di cica 5 metri cubi al secondo (26°) risale dal P70 in una grande grotta ipogenica sulfurea che abbiamo recentemente scoperto in Albania. Lo sviluppo attuale supera i 500 metri.



Proprio il dew point, ovvero punto di rugiada è la temperatura sotto la quale, una determinata massa d’aria contenente una determinata quantità di acqua, diviene sovrasatura ed è obbligata a cederne una parte che andrà a condensare: su superfici o pulviscolo, generano film, gocce, nebbie e aerosol. Questo è il meccanismo normale di tutte le nebbie da condensazione che sembrano alzarsi nel freddo delle mattine d’inverno da fiumi e laghi. 

E come fanno le grotte a fumare generando colonne di vapore? Come sappiamo bene per cercare nuovi ingressi basta aspettare l'inverno dopo una bella nevicata in alta quota e andare alla ricerca di ingressi meteo alti: ovvero bocche calde, che convogliando un flusso d'aria con una temperatura superiore a quella che ha l’ambiente esterno in quel momento, sciolgono la neve. Ma la colonna d’aria calda che sale, oltre a sciogliere la neve fa dell’altro. L’aria uscente sarà quasi certamente satura di umidità raccolta nel suo percorso sotterraneo ed uscirà quindi con una umidità relativa prossima alla saturazione. L’improvviso abbassamento della sua temperatura man mano che si avvicina all’ingresso, la porterà a dover condensare parte di quest’acqua sulle pareti. Quanta acqua? Questo dipende da molti fattori: metri cubi al secondo di aria, temperatura esterna e soprattutto temperatura del flusso d’aria uscente. Appare evidente infatti che più è calda l'aria che vuole uscire, più acqua potrà avere in sospensione; più sarà fredda l’atmosfera esterna, più ne dovrà cedere all’improvviso generando appunto una colonna di vapore che si rende improvvisamente visibile come una nuvola spuntata dalla terra. In teoria ogni sistema carsico con abbastanza circolazione d’aria può in determinate condizioni produrre grandi colonne di vapore: per esempio nel sistema del Monte Corchia, l’ingresso del Figherà spesso produce grandi pennacchi bianchi. La temperatura relativamente calda del sistema, il grande volume d’aria, il tutto unito alle gelide mattina invernali in Apuane può creare la magia. 

Ma se vogliamo invece trovare grotte capaci di fumare spesso e volentieri? Come facciamo a trovare l’intreccio magico di queste condizioni? Semplice dobbiamo trovare una grotta molto calda che si apre in un posto molto freddo o almeno abbastanza freddo da permettere spesso di avere 20 o anche 30 gradi di differenza tra la temperatura interna e quella esterna.


Schema generale di molteplici fenomeni legati alla speleogenesi ipogenica. Philippe Audra, 2007, 2017


Il modo migliore è cercare grotte ipogeniche caratterizzate da forti anomalie idrotermali ancora attive o quasi. In questo caso la temperatura del sistema sarà data completamente o in parte dalla componente termica apportata dalla risalita dei fluidi profondi. 

La grotta si comporterà come una sorta di grande scambiatore di calore generando anche una grande spinta capace di muovere grandi volumi d’aria. Una circolazione che si può generare sia tra ingressi differenti, ma a volte anche in presenza di un solo ingresso in seguito alle turbolenze generate dalla grande differenza di temperatura. Una grotta di questo genere, sarà quindi caratterizzata dalla circolazione di una grande quantità di aria (molti metri cubi al secondo) capace di trasportare grazie alla sua alta temperatura, grandi quantità di acqua in fase gassosa proveniente dall'evaporazione di fluidi termali. Acqua che in parte arriverà fino all’esterno condensando in grandi nuvole bianche, creando pennacchi alti anche decine di metri. Ovviamente anche in questo caso le mattine fredde d’inverno aiutano l’effetto, ma a differenza delle grotte normali, le smoking shaft, non seguono il normale ciclo di inversione e spesso soffiano durante tutto l’anno proprio grazie al loro gradiente interno ben sopra la temperatura media locale. Si potrebbe dire che in queste grotte, una quantità non trascurabile di acqua, invece di scendere per tornare a giorno come tutte le acque normali, dopo essere risalita dal profondo, decide di continuare e salire direttamente in atmosfera. Viste in questa prospettiva le smoking shaft sono davvero sorgenti di nuvole!

E quante sono le grotte di questo genere in giro? Una domanda semplice a cui non è poi così facile rispondere. Se da un lato scoprire una grotta del genere sembra tanto semplice quanto meraviglioso, in quanto visibile da centinaia di metri quando non chilometri di distanza, il fatto che si tratti di fenomeni legati a zone termali, spesso poste presso zone carsiche minori o addirittura sconosciute, non aiuta.

(Tralascio in queste brevi note di affrontare il complesso problema della composizione chimica dell'atmosfera delle grotte vaporose. La questione mette infatti in alcuni casi in campo non solo l'energia termica come meccanismo per accelerare la circolazione di aria atmosferica, ma anche la presenza di gas, principalmente CO2 di origine profonde, endogena, legata a molteplici processi di degassamento degli strati profondi. Altra cosa infatti sono le mofete e le grandi sorgenti di CO2 che a volte in presenza di faglie profonde possono risalire anche in alcuni sistemi carsici rendendo oltremodo pericolosa l'esplorazione. In questo caso non si tratta di circolazione atmosferica ma risalita di gas sottopressione. Alcune smoking shaft, più uniche che rare, presentano una atmosfera mista, legata anche alla presenza di importanti risalite di CO2 profonda, come la Sima de Vapor e si presentano estremamente interessanti dal punto di vista scientifico. Ovviamente esplorando posti del genere, conviene appurare durante la progressione la natura dell'atmosfera ed il suo evolvere nel corso della cavità. Nel caso delle grotte da noi esplorate in Grecia e Albania, nonostante la presenza di faglie importanti lungo cui è impostata l'attività termale, non abbiamo misurato significative risalite di CO2 profonda. I valori all'interno delle due grotte si attestavano infatti intorno alle 800-1000 ppm. Valori che sebbene più alti di quelli esterni, si pongono ben lontani da quelli presenti in cavità interessate da risalite di gas. La questione sarà comunque approfondita con altre misurazioni nel corso delle prossime esplorazioni.)


Tra le grotte vaporose più famose e note, non possiamo che cominciare con il sistema del Monte Kronio, in Sicilia, composto dalle famose Stufe di S.Calogero e dalla Cucchiara. Con una temperatura compresa tra 36-38° ed un flusso vaporoso medio stimato in 2-4 metri cubi al secondo, le Stufe sono capaci di generare vapori e pennacchi di tutto rispetto. Se cerchiamo ancora in Italia, abbiamo molte grotte ipogeniche sulfuree legate a fluidi profondi e caldi (Le Balze di Cristo, La Grotta di Montecchio, Il sistema di Acquasanta e molte altre) ma nessuna è realmente in grado di generare un flusso di vapore costante tale da manifestarsi all’esterno. Fanno eccezione due grotte piccole e quasi sconosciute presenti nel Lazio: Il pozzo del Fornello, ed in misura minore la Grotta dei Serpenti. O almeno queste sono le mie attuali conoscenze. Se ci spostiamo in Europa, come ci raccontano i lavori di Philippe Audra, ne troviamo almeno due in Spagna: la Sima de Las Fumarolles (29°c) e la Sima del Vapor (41°c), mentre abbiamo un Gouffre de la Vapeur anche in Francia e altre due strutture simili in Austria, nonché una serie di grotte e fratture vaporose anche in Macedonia. 


P.Audra 2007,2017




































Sono da considerare a tutti gli effetti Smoking Shaft i due sistemi che abbiamo recentemente trovato in Grecia e Albania: entrambe grotte SAS e direttamente legate a falde sulfuree attive con temperature intorno ai 30° e capaci di muovere flussi d’aria di oltre 5 metri cubi al secondo a temperature superiori ai 25°. Grotte che nel caso di quella scoperta in Albania e ancora in esplorazione, con una profondità di oltre 80 metri ed uno sviluppo attuale di oltre mezzo chilometro, comincia ad assumere dimensioni significative. 




Al contrario non sono ancora grotte ma solo fratture vaporose invece, quelle presenti ad Amarantos sempre in Grecia con temperature in uscita dai 34-38° e flussi di 3-4 metri al secondo, nonché la sorgente di Vapore di Leskovic in Albania con temperature tra i 40-50°. Se poi dovessimo andare a cercare fuori dall’Europa, la faccenda non si fa cosi semplice e le bibliografie non aiutano molto. Abbiamo sicuramente una grotta vaporosa in Tunisia con temperature intorno ai 50° e forse altre attendono di essere identificate sempre in Nord Africa.



Ingresso del grande Smoking Shaft scoperto in Albania. Si nota la traccia nera sulla parete che segna il flusso costante di vapore in uscita.



Nei pressi di Amarantos in Grecia, da alcune grandi fratture risale una grande quantità di vapore a circa 34- 38° 

Sopra alcune delle fratture vaporose di Amarantos, cresce rigoglioso un denso tappeto di muschi. Il colore da lontano appare biancastro, ma se si osserva si scopre che è dato dalla incredibile quantità di gocce d'acqua microscopiche che condensano al passaggio del vapore, fornendo alla piante le condizioni ottimali per vivere. 

Percorrere una galleria vaporosa è come essere immersi in un flusso costante dove aria e acqua si confondono. 


Allo stato attuale non si può certo dire che si tratti di fenomeni comuni e infatti sono pochi gli speleologi che si aspettano di poter andare a caccia di grotte scrutando l’orizzonte come un indiano in cerca di segnali di fumo. Eppure se ci si trova nel posto giusto è decisamente la migliore delle strategie da mettere in campo! 

Le anomalie termiche e le sorgenti termali sono presenti ovunque nel pianeta e sicuramente innumerevoli sono le fratture i pozzi e anche i sistemi carsici anche di grandi dimensioni, ancora ignoti, capaci di generare incredibili flussi di vapore e affascinare come una magia.

Dal punto di vista evolutivo, le grotte vaporose, sono un tassello del complesso mondo del carsismo ipogenico e di questo condividono le molte peculiarità e singolarità. Morfologie, depositi secondari e tanti altri aspetti le rendono un campo meraviglioso di ricerca dove investigare fenomeni spesso più unici che rari. Allo stesso tempo sono un luogo capace di regalare una esperienza speleologica veramente spiazzante. Più del caldo a caratterizzarle dal punto di vista sensoriale è proprio la percezione di essere avvolti da un vero e proprio fiume. L’esperienza della grotta come spazio vuoto da percorrere scompare per lasciare il passo alla percezione di muoversi in un fluido viscoso. La loro voce non è più un qualcosa di astratto da misurare e immaginare, bensì esperienza continua di tutti i sensi. Qualcosa che si vede, si sente come rumore, si percepisce sulla pelle e si può annusare. Eppure allo stesso tempo qualcosa capace di conservare il mistero della sua provenienza. Esplorarle diventa così quasi nuotare come un pesce controcorrente, tra geometrie di aria e acqua tra forme che si percepiscono sulla pelle e si manifestano sulle morfologie delle gallerie, la presenza di gocce d'acqua o sulla posizione delle concrezioni.

Le grotte vaporose sono luoghi strani, luoghi capaci di sorprendere, anche lo speleologo più navigato. Posti difficili da descrivere usando come unità di misura il metro lineare, ma che al contrario si trovano più a loro agio se raccontate usando joule, calorie, gradi, e al limite metri cubi al secondo.

Ma soprattutto sono luoghi capaci di cantare una misteriosa melodia in grado di affascinare e stregare tutto il corpo.


(Andrea Benassi)