lunedì 28 dicembre 2020

Esplorazioni, grotte di ghiaccio & cambiamenti climatici

L'Isola di Ellesmere, non è un posto troppo frequentato e neanche un posto troppo caldo. Ad oltre 80° di latitudine nord, oltre la Groenlandia nord-orientale, è sicuramente un posto fuori mano; ma se sei in corsa per esplorare i misteri dell'Artico e sei alla fine del 19° secolo è il posto perfetto! Se poi hai la fortuna di chiamarti Otto Sverdrup ed essere il capitano del Fram, allora non puoi proprio chiedere di meglio alla vita. Molti conoscono la storia di Nansen e delle esplorazioni che condusse per oltre due anni lasciandosi trasportare alla deriva verso il Polo Nord a bordo del Fram. Il libro che descrive le sue avventure, "Farthest North" si è giustamente guadagnato un posto di prima fila tra la letteratura di esplorazione. Il Fram non era solo una buona nave, era probabilmente la nave perfetta per questo genere di esplorazioni, tanto che nel 1910 accompagnerà  Amundsen al Polo Sud, ma pochi sanno che prima di questa esplorazione, lo stesso Fram fu impegnato in altri 4 anni di esplorazioni polari, questa volta nelle isole oltre la Groenlandia Orientale. Chi poteva guidare quella splendida nave se non il capitano Sverdrup? Cosi tornato da 3 anni di spedizione tra il ghiaccio Sverdrup non esita un istante quando Nansen gli propone di guidare come leader una nuova spedizione esplorativa, e riparte dopo meno di due anni nell'estate del 1898 questa volta con l'intento di restare in viaggio per 4 anni. 

Ma cosa c'entra tutto questo con le grotte glaciali e i cambiamenti climatici? Beh una dei primi luoghi che esplorerà la nuova spedizione, sono i fiordi dell'Hayes Sound, che sembrano tagliare in due La Terra di Ellesmere, di cui gli esploratori ignorano tutto tranne quel breve tratto di costa. Bisogna andare a mappare ed esplorare quel passaggio per capire se è un canale o un fiordo, bisogna salire sulla dorsale da cui discendono infiniti ghiacciai per avere una panoramica dell'area. Il gruppo inizia quindi esplorando il fiordo Alexandra, salendo da un ghiaccio laterale al suo inizio per raggiungere la dorsale e quindi con un largo giro tornare dopo alcuni giorni dal ghiaccio che scende dalla testa del fiordo. Ma non tutto è così semplice e la via di discesa sarà quantomeno inaspettata:

"16 settembre 1898 - Eccoci alfine sulla cima dell'altura che divide i due versanti: di la scendiamo per un pendio verso nord-est. Anche qui il cammino non è troppo facile, finalmente dopo molte peripezie un ghiacciaio ci conduce sull'estremità inferiore del fjord Alexandra. Questo ghiacciaio finisce in ogni sua parte con dirupamenti cosi verticali che ci riesce impossibile discendere. Cerchiamo così per parecchie ore un punto da dove poter raggiungere la terra ferma; ma non lo troviamo. Allora eccoci forse un altra volta costretti ad una ritirata proprio quando siamo vicini a raggiungere lo scopo? Non so decidermi a comandare il ritorno, e rimetto la mia decisione al giorno dopo. Ho avuto perfettamente ragione. Per caso esplorando ancora una volta il sommo dell'altura che ci tiene prigionieri, troviamo una breccia. E' difficilissima, ma ci permetterà di uscire dalla nostra prigionia. La via è in sostanza, un canale scavato nello spessore del ghiacciaio: il canale scorre libero, in principio, sotto il cielo libero, poi, più lungi, penetra, come un tunnel sotto i ghiacciai. Questo canale è lungo circa 900 metri. Impieghiamo a percorrerlo non meno di sei ore! Dal ghiacciaio, un pendio erboso ci conduce all'estremità superiore del fjord Alexandra, da dove ci avventuriamo sopra i banchi di ghiaccio che coprono il fjord." 

Otto Sverdrup, Quattro anni fra i ghiacci del Polo Nord


Carta di sintesi delle Esplorazioni della Spedizione Sverdrup presso l'Hayes Sound


Un canale che si fa 'tunnel' che altro non è che la traccia di una grotta subglaciale che sfocia sulla testa del ghiacciaio. Sicuramente la prima descritta per l'isola di Ellesmore e l'area della Groenlandia e forse una delle prima percorse per una tale lunghezza, soprattutto come via di salvezza! E fortuna volle che la sera prima facesse la frizzante temperatura di -30° che di sicuro libera dal problema dell'acqua liquida quando percorri il cammino sotterraneo di un torrente sub-glaciale! A questo punto anche senza imbarcarci per Ellesmore, possiamo dare un occhiata a quei luoghi descritti 122 anni fa. Il ghiacciaio principale che sfocia alla testa del fiordo Alexandra mostra bene le caratteristiche descritte da Sverdrup. Non sappiamo come si presentasse nel 1898, ma possiamo osservare purtroppo, la sua rapida evoluzione nell'arco di tempo tra il 1984 ed il 2018. Se nella prima immagine si intuisce appena il 'canale' descritto dall'esploratore, nella seconda immagine possiamo purtroppo vedere fin troppo bene il sinuoso percorso del torrente subglaciale, che da sotterraneo si è fatto superficiale in tutto il suo scorrere fino alla morena. La terra di Ellesmore riceve pochissime precipitazioni come molte aree artiche, quindi risulta evidente anche dall'osservazione di altri bacini glaciali, la netta riduzione dello spessore dei corpi glaciali. Se poi scendiamo nei dettagli, beh sicuramente possiamo capire perché il nostro Sverdrup ci abbia tenuto a sottolineare come ci siano volute ben 6 ore per percorrere quei 900 metri di canale in buona parte sotterraneo che li separava dal mare. Probabilmente la grotta scorrendo a poca profondità, come simili fenomeni presenti nei ghiacciai della Patagonia, poteva presentarsi illuminata dalla rifrazione della luce solare che spesso crea una sorta di illuminazione diffusa che sembra provenire dalle pareti stesse. Le grotte glaciali sono effimere, e si muovono con la massa in cui si sviluppano, ma tendono a riprodursi simili a se stesse nella nuova massa glaciale che avanza. L'intreccio complesso tra masse di ghiaccio e forma del substrato roccioso ne forgia i caratteri come un flusso: un turbolenza stabile nel tempo. Ovviamente a patto che il ghiacciaio sopravviva e non si assottigli troppo. Ecco purtroppo questa strana storia, sospesa tra antichi esploratori e immagini satellitari, ci ricorda come anche nella lontana e disabitata Ellesmore i ghiacciai stiano combattendo una lotta per la sopravvivenza. 


La situazione del ghiaccio "Alexandra" nel 1984. L'area del 'canale' si intravede appena, mentre la bocca sul fronte è appena abbozzata. La lingua minore oltre la morena appare integra. 

Il ghiaccio nel 2018. La struttura drenante appare in più punti scoperchiata e trasformata in una canale a cielo aperto. La bocca sul fronte si è allargata, mentre a destra appaiono altre strutture drenanti. 




Situazione attuale del ghiacciaio. Sebbene in apparenza il ghiaccio sembra aver mantenuto la sua 'estensione' il confronto con le alture come l'emergere delle strutture di drenaggio sotterraneo, mette chiaramente in evidenza la drammatica riduzione dello spessore della massa glaciale.  


L'immagine ad alta risoluzione evidenzia perfettamente il 'tratto di canale' descritto da Sverdrup 122 anni fa. Nella lunghezza di circa 1 km prima del fronte glaciale, 
la struttura descritta come 'un tunnel sotterraneo' appare ora completamente a cielo aperto, mentre ulteriori strutture, invisibili sono pochi anni fa, sono comparse nelle fasce periferiche a sud-est. 


mercoledì 23 dicembre 2020

Vecchie storie dalle Sierra de Agalta...

Non c'è niente da fare, quando ti innamori di un luogo, ti porti dietro il suo ricordo per tutta la vita. D'altro canto non fu certo difficile rimanere affascinati dalle foreste della Sierra de Agalta e dal meraviglioso Pian Bonito. Ovviamente non parlo solo del luogo e della sue grotte, ma anche dei tantissimi amici che ci facemmo nelle sei spedizioni fatte da quelle parti. Tante avventure e tantissimi ricordi che report e articoli riescono a malapena ad evocare. Così nonostante siano passati già 15 anni da quei tempi, basta dare un occhiata ad una descrizione per sentirsi nuovamente trasportati in quelle fredde notti tropicali, pronti a partire per le cento prosecuzioni inesplorate che attendono ancora tra le pieghe di Cielo di Pietra! 


Sintesi delle conoscenze speleologiche e idrologiche della Montagna di Susmay - Pian Bonito. Si nota in particolare la grande estensione del sistema di drenaggio che attraversa tutta la montagna per oltre 6 chilometri: dall'inghiottitoio di Cielo di Pietra (CP) fino allo risorgena della Quebrada di Susmay (Qs), incontrando lungo il percorso gli apporti del grande inghiottitoio del Tigre (Ti) e quelli del sistema Respirador-Pescado (Re-Pe). Il quadro d'insiemi riunisce le informazioni raccolte da diverse spedizioni esplorative (Sivelli 2005)


Pian Bonito 2005 - Report by Andrea Benassi on Scribd



Zapotillal 2006 by Andrea Benassi

martedì 10 novembre 2020

Vagando sotto l'Altopiano di Gorga: parte II°


Continuano le nuove esplorazioni sull'Altopiano di Gorga. Nonostante siano ormai quasi 30 anni che esploriamo sull'altopiano, quello che stiamo trovando nell'abisso del "Quinto Elemento" ci sta facendo rivedere molte delle nostre certezze. Probabilmente sotto quelle cime esiste un sistema più grande e complesso di quanto avessimo mai immaginato. Per ora ci accontentiamo di aver raggiunto con l'ultima punta i -300 per uno sviluppo di circa 1,5 chilometri. Ovviamente la grotta continua, si sposta veramente tanto e si dirige verso zone che mai avremmo immaginato. Altrettanto ovviamente tutto questo bisogna guadagnarselo e le grandi gallerie sono mischiate con grandi pozzi ma anche con simpatici meandri che rendono l'esplorazione tanto impegnativa quanto avvincente. Se la scorsa volta dopo il grande Pozzo Coprifuoco (P55) ci eravamo affacciati su un altro grande salto, questa volta abbiamo sceso una sequenza di pozzi "Il Mangiafuoco" che ci ha portato in ambienti strani e complessi. Qui, In attesa di raggiungere le grandi gallerie fossili che occhieggiano, ci siamo confrontati con il meraviglioso Regno di Smerdor, un lungo meandro attivo che ci ha portato fino ad ulteriore confluenza e quindi ulteriore grande meandro che prosegue tanto alto quanto antico verso destinazioni ignote. Almeno fino alla prossima punta...

(Alessandro Rosa, Federico Casadei, Paolo Turrini, Roberto Pettirossi, Andrea Benassi)



Sezione geologica dell'area. La grotta si sviluppa esattamente lungo la direttrice della sezione. (Tavola da  Mecchia, Piro, Barbati, 2003 modificata)









Bibliografia essenziale su grotte e altopiano di Gorga:


O. Armeni, L’Ouso due Bocche,  Notiziario del Centro Romano di Speleologia, Ottobre1982, pp. 25-28

V. Battisti, Grotta del Sacco, in Speleologia Laziale, Notiziario FSL n°4, pp.4-5, 2005

A. Benassi, Campo di Caccia: una grotta sofferta, in Notiziario Speleo Club Roma 12, pp.70-71, 1996

A. Benassi, A. Carnevale, P. Turrini, Progetto Lepinia: progetto di studio sul carsismo dell’altopiano di Gorga 2001-2003, ArsDea 2003 

A. Benassi, Abisso di Campo di Caccia, in Speleologia del Lazio, Notiziario della FSL, n°2, pp.22-26, 2001

Benassi A., Benassi D., Turrini P. Recenti esplorazioni nell’abisso di Campo di Caccia, in Speleologia del Lazio, Notiziario della Federazione Speleologica del Lazio, n°3, settembre 2002, pp.22-25

A. Benassi, P. Turrini, Action Mutante: la nuova frontiera dell’abisso di Passo Pratiglio, in Speleologia del Lazio, Rivista FSL n°5, 2007, pp.25-32

Dalmiglio P., Ouso Due Bocche di Monte Pisciarello: il by-pass al cunicolo allagato. In Notiziario FSL,n°3, 2002, pp.20-21

Dalmiglio P. Geografia sotterranea dei Monti Lepini attraverso il Catasto delle Grotte del Lazio,  Notiziario FSL n°7, 2014, pp.24-41

M. Mecchia, Grotta di Monte Fato: note descrittive, in Notiziario Speleo Club Roma, 11, p.37-38, 1994

Mecchia G. Mecchia M. Piro M. Barbati M. Le grotte del Lazio: I fenomeni carsici, elementi della geodiversità, Roma, 2003

Mecchia G. Piro M., Monti Lepini, in Speleologia n°68, pp.26-30, 2013

Monteleone M. Sirtori F. Relazioni e immagini sull’esplorazione di Grotta Pasquetta, in Notiziario Speleo Club Roma, n°16, pp.93-99, 2012

Mecchia G., Piro M. Risultati delle ricerche a Pian della Croce e Pratiglio, Notiziario Crds-SCR-GS Cai Roma, Dicembre 1984, pp.4-24.

Mecchia G., Piro M. Nuove esplorazioni nelle zone del Monte Malaina e Monte Gemma, Notiziario dello SCR e GS Cai Roma, Dicembre 1986, pp. 33-53

Mecchia G., Piro M. .L’altopiano di Gorga, in Notiziario SCR n°12, dicembre 1996, pp. 61-67

P. Turrini, A. Carnevale, A. Benassi, Risalite e utopie: ultime esplorazioni tra Campo di Caccia e Lepinia, in Speleologia del Lazio, Rivista FSL n°5, 2007, pp.37-42

P. Turrini, Nuove esplorazioni alla grotta di Monte Fato, in Notiziario Speleo Club Roma, 11, p.6, 1994

Turrini P. Benassi A. Baroncini Turricchia G., L’Ouso di Passo Pratiglio: una grotta per veri sifonauti in Speleologia del Lazio, Notiziario FSL 4, pp.6-7

V. Olivetti, M. Tavernitti, Esplorazioni al ramo dei bucanieri, in L’Eco del Pipistrello, GS CAI Roma, n°1, pp. 49-55, 2007

Tutto il Notiziario n°12 dello Speleo Club Roma (SCR), 1996



lunedì 26 ottobre 2020

Apocalypse now: vagando sotto l'altopiano di Gorga

 

 

 La speleologia è un gioco, un bel gioco ma nella maggior parte dei casi sempre un gioco resta. In questi tempi di pandemia, il futuro prossimo della speleologia è per mille ragioni incerto e la possibilità di continuare i propri progetti quanto mai oscura. In questa prospettiva ci siamo voluti regalare una bella esplorazione di mezzo autunno, sperando che l'ignoto esplorato ci aiuti anche ad esorcizzare l'ignoto che ci attende. Il teatro dei giochi questa volta è il meraviglioso altopiano di Gorga, (Monti Lepini) dove ormai da decenni lavoriamo per cercare di dare una forma alla "Lepinia" sotterranea. Ci proviamo da non so più quanto tempo, eppure ogni volta arriviamo alla conclusione di aver capito poco e male. Questa volta è il turno del "Quinto Elemento" un nuovo abisso nato grazie allo sforzo e alla fede di tanti amici e che rapidamente sta diventando qualcosa di serio. Talmente serio da farci rivedere molte delle conoscenze che avevamo su questa parte dell'altopiano e da farci intravedere ancora tanto vuoto da esplorare! Dopo le precedenti esplorazioni che già ci avevano regalato almeno un chilometro di grotta diretta verso il "Ramo dei Bucanieri" nell'Ouso del Due Bocche, eravamo dell'idea di cogliere una facile giunzione... ma come al solito le grotte sanno sorprenderci e decidono per noi.

mercoledì 14 ottobre 2020

Chiare, fresche et dolci acque: il collettore del sistema Prometeo – Rava Bianca

(A. Benassi, S. Farinelli, R. Pettirossi, P. Turrini)


Come abbiamo precedentemente scritto, il sistema Prometeo – Rava Bianca, (LA2239-LA240) rappresenta già oggi un fenomeno carsico importante nel panorama della speleologia laziale e forse anche del centro Italia. In particolare sono le potenzialità di questo sistema: tanto in dislivello quanto in sviluppo a rendere tanto interessante quanto auspicabile un maggiore impegno nel suo studio ed esplorazione. Sul fronte esplorativo, le possibilità interne più promettenti si concentrano nelle zone profonde del collettore, ovvero del tratto pseudo orizzontale che si sviluppa ad una profondità compresa tra -730 e -760 (quota 440/410 slm) e che raccoglie le acque dei tratti verticali della Rava Bianca e di Prometeo. Questa parte del sistema è stata esplorata tra il 2005 ed il 2006 da un nutrito gruppo di speleo sotto il coordinamento del GS Cai Roma, mentre il sifone che rappresenta l’attuale fondo veniva raggiunto il 6 agosto del 2006 da Pino Antonini e Sandro Mariani. Il collettore si presenta da subito abbastanza umido e rapidamente diventa anche acquatico con numerosi tratti allagati. Proprio questa caratteristica ha limitato moltissimo le visite, tanto che il fondo ad oggi risultava visitato quell’unica volta ed il tratto finale oltre un passaggio semisifonante non era mai stato rilevato in modo strumentale. A quasi quindici anni da quelle esplorazioni e alla luce della recente giunzione, abbiamo pensato fosse il caso di andare a finire quell'ultima parte di rilievo e dare un occhiata per capire meglio la situazione.

Procedendo da monte verso valle, quello che qui definiamo collettore si può far iniziare con la giunzione tra il tratto classico della Rava Bianca (in sinistra idrografica) e il tratto a monte (in destra idrografica). Le portate in questo punto appaiono simili e la loro somma si può stimare in 1 l/s1. Una precedente colorazione ha appurato un collegamento idrogeologico di questo apporto in destra idrografica, con la grotta Du Manzi, (distante circa 500 metri in linea d’aria), va però ricordato che una parte significativa di questo flusso proviene in realtà dal Ramo del Quarantennale: un tratto discendente parallelo al tratto storico della Rava Bianca. L’apporto della grotta Du Manzi è quindi probabilmente molto limitato. Anche le dimensioni del meandro a monte della confluenza appaiono infatti modeste. Morfologia e dimensioni, che già mutano a valle della confluenza, cambiano invece completamente nel punto di giunzione con l’Abisso Prometeo. Qui il meandro si trasforma in una vera e propria galleria di grandi dimensioni e ampi tratti fossili. L’apporto idrico di Prometeo sembra giustificare ampiamente questo cambio di morfologia. L’abisso innestandosi in sinistra idrografica, apporta infatti da solo oltre 3 l/s al sistema. Proseguendo verso valle si possono identificare almeno altri due grandi arrivi provenienti dall’alto della galleria. 

Il primo, appena dopo l'ultimo saltino prima dei tratti allagati, proviene da una grande colata concrezionata di 10-15 metri (1 l/s); il secondo dopo il tratto allagato entra dall'alto in una zona caratterizzata dalla presenza di numerose eccentriche (1 l/s). Più avanti troviamo quindi un arrivo in destra idrografica (1 l/s) e infine un grande affluente, praticamente al fondo, di nuovo in sinistra (3 l/s). La stima totale del flusso che alimenta il sifone è quindi dell’ordine di oltre 10 l/s. Ovviamente le portate dipendono fortemente dalla stagione ed un bilancio complessivo necessiterebbe di una gran quantità di dati, ma già cosi possiamo determinare una gerarchia dei sistemi noti e ignoti. A conferma della grande differenza per esempio tra l’apporto della Rava e quello di Prometeo, già durante la precedente punta, abbiamo osservato come anche in una condizione di secca totale, le portate rispettivamente della Rava e di Prometeo fossero in rapporto di circa 1 a 3, con la prima quasi completamente asciutta.

In questa prospettiva, appare quindi evidente la grande importanza che potrebbe rivestire il grande affluente posto al fondo del sistema. Questo prima di confluire quasi nei pressi del sifone, può essere risalito per alcune decine di metri in una bella galleria che sbuca in una grande sala con evidenti tracce di crollo. Qui accanto alla evidente prosecuzione, di grandi dimensioni, in testa ad un camino di circa 15-20 metri, (da cui proviene l’acqua) si possono identificare anche altre due possibili imbocchi di gallerie fossili. Questo affluente si presenta quindi di estremo interesse esplorativo e la circolazione dell’aria sembra aggiungere elementi molto accattivanti. Gli ingressi attualmente conosciuti del sistema Prometeo – Rava, si comportano in prima approssimazione rispettivamente da ingresso alto e basso. Mentre il comportamento della Rava appare però ben definito, con flussi d’aria in uscita importanti in occasione di grandi differenze di temperatura (ben avvertibili per esempio in estate anche all’imbocco del grande pozzo d’ingresso), Prometeo non appare nelle medesime circostanze coerente, ed i volumi aspirati dall’ingresso noto appaiono decisamente modesti. Questo ci ha già da tempo portato ad immaginare che lo stesso si comporti da ingresso medio, dovendo quindi presupporre l’esistenza di un ulteriore e più importante ingresso alto. Restava da definire se lo stesso fosse identificabile in qualche arrivo presente nello stesso Prometeo o se dovesse trattarsi di una struttura completamente nuova e ignota. Già nelle relazioni esplorative del 2005 si fa chiaramente riferimento ad una forte corrente d’aria presente nel tratto semisifonante e proveniente dal fondo. La punta della scorsa settimana ci ha permesso di verificare che il grosso dell’aria circola effettivamente nel collettore provenendo dal fondo per poi essere aspirata e fuoriuscire dalla Rava dopo essersi sommata a quella in minima parte aspirata da Prometeo. A questo punto possiamo ipotizzare almeno un paio di punti: primo che visto che la circolazione appare controllata da questo ingresso ignoto, lo stesso devo presentare un dislivello significativo rispetto a Prometeo e quindi porsi sicuramente a quote ben superiori a 1200 slm. Secondo, che siccome la circolazione appare evidente e ben definita a soli cento metri dal fondo, l’unico affluente seriamente candidato risulta essere il grande arrivo sul fondo. Unica altra opzione potrebbe essere l’esistenza di un bypass del sifone, magari proprio in una di quelle due gallerie fossili che occhieggiano sempre nell’affluente. In quel caso si potrebbe immaginare una circolazione d’aria proveniente da un ulteriore affluente ignoto. Tutto è possibile, ma questa seconda ipotesi appare sicuramente meno probabile e comunque per levarsi questo dubbio basterà andare a fare quelle due risalite. Cosa che ovviamente faremo nella prima data utile. 

Per concludere non potevamo non dare un occhiata al sifone del fondo. Di grandi dimensioni, si presenta al termine di una galleria di forma decisamente freatica il cui fondo appare ricoperto di depositi fangosi. Non avendo confronti, non sappiamo quanto il livello di questo sifone possa fluttuare in base alle stagioni e al flusso. Al momento della punta non eravamo in una secca assoluta, ma neanche in condizioni di piena o invernali. Il sifone è probabilmente sempre alimentato. Chiaramente si notano livelli di piena ben più alti che sommergono buona parte della galleria per molti metri a monte. 

La soluzione che abbiamo scelto per ispezionarlo, possiamo definirla come la tecnica del pescatore di perle, ovvero rapida ispezione in apnea. Sotto la superficie si nota subito un dente di un metro un metro e mezzo, oltre cui la galleria risale. Appare chiaro che oltre questo gomito le quote della galleria siano comprese tra 0 e -2/3 metri circa. A conferma sul soffitto si osservano infatti diverse campane d’aria. Di queste, la prima a circa 4-5 metri dall’imbocco è stata raggiunta ma appare purtroppo senza sbocco. Più avanti se ne intuiscono altre e la galleria appare proseguire in piano e sempre di grandi dimensioni con una larghezza di due o tre metri. La presenza di campane d’aria ci fa immaginare che il sifone possa aver fluttuato da una secca totale che ne abbia abbassato il livello, anche se è difficile immaginare se una tale fluttuazione sia un fenomeno stagionale o eccezionale. Non avendo foto di confronto non sappiamo attualmente definire se il livello osservato nel 2006 fosse inferiore o simile. Possiamo però osservare come dal rilievo il tratto su cui si sviluppa il sifone si presenti impostato sulle fratture principali appenniniche, mentre nonostante si osservi la presenza di una faglia, la stessa non sembra averlo tagliato. Inoltre osserviamo come nel collettore il precedente tratto semisifonante si sviluppi lungo le stesse direttrici per non più di 40-50 metri e con le medesime morfologie. Alla luce dell’osservazione diretta, appare quindi molto probabile che anche questo tratto sia un breve moncone di galleria allagata, oltre cui il collettore prosegua aereo la sua corsa verso le Grotta del Formale. Ovviamente solo le future esplorazioni potranno trasformare queste ipotesi in certezze. Se c’è una certezza già da ora, è che il sistema è grosso e per buona parte ancora ignoto, ma che allo stesso tempo anche il lavoro da fare sarà grosso e richiederà molte forze e buona volontà: tanto in interno quanto in esterno.

1Tutte le portate sono da riferirsi alla data della punta ovvero 10/10/2020 ed hanno chiaramente valore indicativo di proporzione le une rispetto alle altre. Piuttosto che un bilancio idrologico del sistema, questo ci permette una prima definizione gerarchica dei vari apporti e quindi stima sui sistemi di drenaggio noti e ignoti.           

2 L'Abisso Prometeo è inserito nel catasto del Lazio con il numero LA2239; le informazioni contenute nella sua scheda contengono però alcuni refusi: il più grave riguarda il dislivello che ovviamente non è di -849 metri. Probabilmente vi è stata uno scambio tra sviluppo planimetrico e dislivello. Alla data dell'accatastamento, la profondità rilevata era infatti di circa -505, mentre l'esplorato si fermava intorno ai -640. Ovviamente attualmente il rilievo risulta invece terminato e completo nell'interezza del Sistema. Trattandosi di una giunzione, il rilievo di Prometeo è stato agganciato al collettore della Rava Bianca seguendo anche un nuovo rilievo di parte dello stesso per ottenere una corretta sovrapposizione ed una serie di caposaldi a cui fare riferimento. Per chiudere le poligonali si è inoltre rilevato anche il tratto esterno tra i due ingressi. 






mercoledì 30 settembre 2020

Grotta Analoga...

 

René Daumal, nel suo celebre romanzo "Il Monte Analogo: romanzo d'avventure alpine non euclidee e simbolicamente autentiche" immagina i suoi protagonisti sulle tracce di una misteriosa montagna. Una cima inesplorata e totalmente sconosciuta, ma che "deve" esistere perché sia accessibile agli uomini una via percorribile tra la terra ed il cielo. Una via che permetta di comunicare tra i due mondi. Una montagna enorme, di altezza smisurata, ben più alta delle cime dell'Himalaya le cui pendici toccano il mare e la cui vetta sfiora il cielo. Ovviamente l'immagine è quella metafisica dell'Olimpo o meglio ancora del Monte Meru e non a caso Daumal conosceva bene il sanscrito ed era un fine studioso e traduttore delle letteratura vedica.

E se sulla cima di quella montagna smisurata immaginassimo l'ingresso di una grotta? Sarebbe bello immaginare una grotta, un luogo, capace di unire a livello simbolico non solo il cielo e la terra ma anche le viscere del mondo sotterraneo. Qualcosa capace in questo suo comunicare, di unire simbolicamente la vita tout court. Una sorta di vero e proprio axis mundi, dove i tre mondi che da sempre affascinano l'uomo di ogni tempo e latitudine, convergono e si fondono. Ovviamente se andiamo oltre la speculazione metafisica dobbiamo venire a patti con il reale, abbandonare un poco di irrazionale fenomenologia e convenire che di montagne smisurate che toccano il cielo per ora su questo pianeta non ne abbiamo. Anche cosi però l'immagine di un tale luogo resta potente e pur se ridimensionata, possiamo sempre provare a cercare qualcosa di simile... 

La domanda spontanea a questo punto è: qual'è la quota più elevata a cui si aprono e si sviluppano grotte sul nostro pianeta? Dove si apre l'ingresso più 'alto'? 

Messa cosi la caccia si fa interessante e per niente banale. Considerando grotte sia carsiche o pseudo carsiche che glaciali, i luoghi non sono poi così pochi. Ghiacciai ad altissima quota e calcari che coronano le cime delle più alte montagne dell'Himalaya ci farebbero buona compagnia nella ricerca. Ovviamente il reale ha le sue regole, a volte stringenti, ed il permafrost o le equivalenti condizioni dove scarseggia l'acqua liquida non hanno mai aiutato il carsismo; ma anche in questo caso ci sono trucchi ed eccezioni. 

Anche la seconda domanda è spontanea: qual'è ad oggi lo stato dell'arte, quali sono e cosa sappiamo delle grotte più alte del pianeta? La risposta è semplice: sappiamo poco. 

Ovviamente di grotte tra i 3000 e i 4000 metri neanche parliamo, è vero che siamo già ad altezze elevate, ma a quelle quote i fenomeni sotterranei ancora abbondano alla grande. Oltre quota 4000, le cose cominciano già a diventare non facilissime. Richard Maire nel suo fondamentale Le haute montagne calcaire ci da una panoramica di alcuni massicci carsici di alta quota a livello mondiale, investigandone anche i meccanismi speleogenetici. Siamo cosi introdotti alla presenza delle grandi catene del Kurdistan turco-iraniano o delle grandi dorsali della Nuova Guinea con cime che sfiorano i 5000 metri. Purtroppo per ora luoghi entrambe avari di risposte. Quando l'autore ci presenta la grandiosa Cordigliera della Ande le cose però cominciano a cambiare. La cordigliera è veramente enorme, la più lunga catena montuosa del pianeta, con le cime che sfiorano i 7000 metri ed una composizione geologica estremamente complessa. Cercare grotte sulla cordigliera non è certo idea nuova: gli infiniti tavolati calcarei ad oltre 4000 metri invitano, quello che sconcerta è la sua vastità. Al tempo di Maire le grotte nelle altissime quote di queste montagne, erano però scarse, ed in molti credevano fermamente che non potessero esserci grandi cose. Poca anidride carbonica, molte zone sub desertiche; per la volgata ufficiale il carsismo serio non poteva esserci e men che meno gli abissi. Abbiamo dovuto attendere fino ai primi anni del nuovo millennio perché qualcuno si accorgesse dell'esistenza in Perù dell'enorme Sima Pumacocha, che da sempre incurante delle teorie geologiche, inghiottiva il suo grande torrente glaciale. La Sima non solo si apre a 4375 metri di quota, ma tanto per fare un dispetto a tutti, decide infatti di scendere fino a -638 diventando di colpo la cavità più profonda di tutto l'emisfero occidentale, ovvero delle due americhe escludendo il Messico. Buon punto di partenza per un axis mundi degno di questo nome e visto che le cose si trovano cercandole, i suoi esploratori non possono evitare di trovare attorno altri abissi ben più alti, come la Cueva di Qaqa Mach'ay che da quota 4930 scende per ben 125 metri, nonché altri ingressi posti a quote simili e forse frammenti del medesimo sistema.

Non c'è dubbio che allo stato attuale questa sia l'area carsica a quota più elevata capace di esprimere un carsismo esteso a sviluppato. E le potenzialità sono ben lontane dall'essere esaurite! Altre cime nelle Ande ci fanno infatti sognare cavità a quote oltre i 5500, ma anche in queste favolose montagne dobbiamo venire a patti con la realtà ed oltre queste altezze i luoghi adatti non sono tantissimi. 

Quindi se vogliamo osare cercare ancora più in alto dove dobbiamo dirigerci? Beh direi che è ovvio, nel cuore misterioso dell'Asia. Anche senza prendere in considerazione i deliri mistici di Ferdynand Ossendowski che un secolo fa convinse l'occidente dell'esistenza sotto il continente del misterioso regno sotterraneo di Agartha, dobbiamo ammettere che le catene dell'Asia centrale conservano una buona dose di 'mistero' almeno dal punto di vista speleologico. 

Come al solito è la vastità e difficoltà d'accesso a salvare il mistero dei luoghi, e da quelle parti di vastità e difficoltà ce ne sono parecchie. Tra Pamir, Uttarakhand, Dolpo, Karakorum e Himalaya i calcari non mancano, mentre le quote anche oltre i 6000 ci fanno mancare il respiro al pensiero. Ancora una volta la domanda è cosa sappiamo di quei luoghi? Poco, molto poco. Il fenomeno più significativo conosciuto per ora sembra essere la grotta Rangkul'skaja (Syjkyrduu)  che si apre in Pamir, (Tajikistan) e scende per -268 metri, ma si apre a soli 4600 metri di quota. Se vogliamo trovare cose più alte, bisogna andare su montagne più alte.

Intendiamoci l'idea di andare a cercare tra le cime più alte dell'Himalaya non è certo nuova. Già pochi anni dopo l'uscita nel 1951 del libro Annapurna di Maurice Herzog squadre di volenterosi s'imbarcarono nella ricerca di quegli ingressi descritti dall'autore tra le gole della Kali Gandaki o tra i calcari del Dhaulagiri. Ingressi e calcari a quote da togliere il fiato. Tanta volontà, forse poca fortuna. 

Ad oggi sappiamo di alcuni grandi portali, purtroppo chiusi, perlustrati recentemente (2018) nel remoto massiccio dello Yak Danda in Dolpo a quote anche oltre 5500. A quote simili, qualcosa sempre molto piccolo si conosce anche nella provincia pakistana del Chitral. Forse proprio la Kali Gandaki e l'Annapurna descritte da Herzog, conservano ancora qualche sorpresa. Una zona chiaramente carsica è stata infatti identificata quasi trent'anni fa in quest'area a quote tra i 5000 ed i 6000 metri. Un carsismo in parte idrologicamente attivo oggi, in parte frutto di processi antichissimi. Identificata, ma poco studiata e visto che che ognuno ha le sue preferenze e gusti, devo confessare, che faccio il tifo per questo posto che oltretutto in quanto a sacralità può vantare nientemeno che un grandioso santuario dedicato a Vishnu. Trovare un abisso o qualcosa di simile da queste parti avrebbe un suo fascino non da poco!

Se volessimo salire ancora più in alto? A quote dove aria e ragione sono qualità sempre più rarefatte ed evanescenti? Beh forse non troveremmo l'essere che ha lasciato le impronte fotografate da Eric Shipton, ma se cerchiamo bene di sicuro potremmo trovare l'ingresso della Rahkiot Cave. Quella che ad oggi considero una delle grotte più misteriose del pianeta. Sicuramente la più alta che conosciamo, visto che il suo ingresso, anzi il suo portale di circa 13 x 13 metri di ampiezza si dovrebbe aprire ad oltre 6600 metri di quota sul fianco sud-est del Rahkiot Peak, cima secondaria del Nanga Parbat. Mi permetto di dire misteriosa perché il suo nome è dagli anni '60 associato appunto al primato di grotta più alta del pianeta, ma da allora nessuno oltre a Meinzinger e Caldwell ovvero i due alpinisti che nel 1963 ne riportarono la notizia, ci è andato, l'ha mai vista o almeno ne ha scritto. 

Non sembrano esistere fotografie di questo luogo e men che meno ovviamente un rilievo. E dire che in questo caso non si tratta proprio di un buchetto, visto che nella relazione alpinistica che la cita, si parla di una lunghezza di circa 250 piedi, ovvero quasi un centinaio di metri di lunghezza per poi dire che chiude su ghiaccio e neve. Ci mancherebbe anche che due alpinisti capitati li per caso negli anni '60 che trovano questo ingresso ad una tale quota si mettessero ad esplorare per chilometri! Anzi tanto per essere precisi i due aggiungono anche che la cavità si apre in marmi "metamorphosed sediments" o qualcosa di simile. Probabilmente potrebbe trattarsi di una cavità impostata su una grande frattura tettonica, con molta probabilità non troveremo prosecuzioni... o forse no. Si parla infatti di "solution cave" a mettere in evidenza le presunte tracce di un carsismo a tutti gli effetti. Come potrebbe dell'acqua aver creato qualcosa a 6600 metri di quota? Beh semplice, basta pensare un poco meglio in modo quadridimensionale e posizionare quella grotta in un altro punto del tempo, magari all'inizio del Pliocene, quando quel blocco di sedimenti metamorfizzati era emerso dalla Tetide e non si trovava ancora ad oltre 6 chilometri di quota. Un altro tempo, un altro luogo e un altra temperatura, il tutto congelato in un archivio del tempo proiettato tra le nuvole dalla tettonica a placche. Le montagne possono giocare strani scherzi. O almeno questa è l'ipotesi per spiegare la presenza li di quella galleria di estensione sconosciuta. Comunque sia è certo che immaginare questo ingresso che si apre nei marmi persi sulla sommità del Rahkiot Peak ha un fascino potente. 

Lasciandosi trasportare in libertà da ricordi e associazioni, i luoghi possibili fioriscono e si moltiplicano: Mauri e Bonatti, narrando la conquista del Gasherbrum IV, descrivono la folle cresta finale come composta di candidi e risplendenti marmi bianchi. Se poi ci spostiamo verso est rischiamo di perderci nelle infinite aree sud orientali del Tibet al confine con la Birmania, punteggiate di calcari a quote altissime. Ma anche il grande cuore del continente, il Pamir e l'Hindu Kush, l'antico Paropamiso descritto da Fosco Maraini oppure alcune zone nord orientali dell'India tra la Nanda Devi ed il monte Api... tutti luoghi dove andare a caccia!

Costante in tutti questi luoghi, come nei precedenti, è la vastità capace di spiazzare, nascondere e far perdere il senno ad ogni progetto di ricerca. Una cosa però è certa, una Grotta Analoga, punto di congiunzione almeno metaforico tra cielo terra e mondo sotterraneo "deve" esistere. La corsa all'axis mundi è aperta.





Il libro di Maire, resta un testo fondamentale per leggere il carsismo d'alta quota




Se le acque entrano, da qualche parte devono pur uscire e questo vale anche quando entrano ad oltre 5400 metri di quota come nel caso dell'area carsica che si sviluppa in questi calcari in Nepal. Se poi il posto dove riemergono è anche sacro a Vishnu...  beh vale la pena andare a prendere un poco di freddo e cercare bene. 



Report di una recente spedizione francese in zone carsiche di altissima quota.



Immagine delle parti finali della Sima Pumacocha. Non solo la grotta è profonda, bagnata e fredda, ma vista la quota d'ingresso oltre i 4300, sussiste il serio rischio di incorrere in edema polmonare o cerebrale. Una eventualità sgradevole... considerato che per uscire non si potrebbe 'scendere'  come in montagna, ma si dovrebbe per forza 'risalire' fino all'ingresso!


Rilievo della sima Qaqa Mach'ay a circa 5000 metri. La descrizione dell'esplorazione si sofferma ampiamente sul 'disagio' dato dal freddo (Blue lips passage!) e dal mal di montagna!


Sima Pumacocha. Non solo la grotta 'importante' più alta attualmente conosciuta sul pianeta, ma anche la più profonda dell'intera america meridionale.




L'area del Nanga Parbat, dove dovrebbe aprirsi la Rakhiot Cave. Nonostante nella relazione si faccia riferimento a coordinate 'abbastanza precise' il punto è del tutto indicativo e in ogni caso identificare un ingresso anche se di grandi dimensioni, in un posto del genere è sicuramente un impresa non da poco. 





Una immagine da una recente (2018) spedizione franco-nepalese nella remota regione dello Yak Danda in Dolpo.








martedì 25 agosto 2020

Il sistema Prometeo-Rava Bianca: la prima giunzione dei Monti Lepini (Lazio)




(A. Benassi, F. Casadei, R. Pettirossi, P. Turrini)


Dalla scorsa settimana l’Abisso Prometeo (La 2239) non esiste più: grazie alla giunzione con il vicino Ouso della Rava Bianca (La 240), le due grotte si sono infatti fuse nel primo complesso dei Monti Lepini. Da sempre patria della speleologia romana e non solo, questo complesso montuoso a sud di Roma è sempre stato avaro con gli esploratori. Nonostante le esplorazioni siano iniziate già nel 1926, e si aprano oggi in queste zone oltre 500 grotte (circa un quarto di tutte quelle conosciute nella regione Lazio), fino alla fine degli anni ‘80 del secolo scorso, quasi nulla si sapeva del carsismo profondo e delle potenzialità di questa area carsica. Potenzialità enormi, con dislivelli tra aree di assorbimento e sorgenti, di oltre 1300 metri: carsismo superficiale esasperato eppure pochissimi fenomeni profondi. Dalle campagne del Circolo Speleologico Romano, alle esplorazioni dello Speleo Club Roma, per passare agli Speleologi Romani, e all’ASR ‘86, fino alle campagne del GS CAI, tutta la speleologia del centro Italia si è confrontata in ricerche ed esplorazioni in queste montagne, raccogliendo un grande patrimonio di informazioni base per ogni successiva ricerca. Tale è continua è stata la presenza della speleologia sui monti Lepini e a Carpineto in particolare, da aver portato in anni lontani alla nascita di locali sezioni di appassionati e speleologi. Esploratori come Vincenzo Battisti, che sono rimasti attivi sul territorio per decenni e hanno contribuito anche alla divulgazione e conoscenza del carsismo come patrimonio. Come non ricordare inoltre l’enorme e fondamentale lavoro di Alberta Felici: “Il carsismo dei Monti Lepini (Lazio) Il territorio di Carpineto Romano” Un volume uscito come Notiziario del Circolo Speleologico Romano nel 1977. Un monumentale e sistematico catalogo di oltre 270 cavità. Un lavoro enorme, che oltre ad un rigoroso inquadramento geologico e strutturale dell’area, è il risultato di una lunghissima campagna di prospezione sul terreno, dove ogni fenomeno, piccolo o grande, viene esplorato e documentate, con dovizia di particolari e informazioni circa correnti d’aria e possibili prosecuzioni. Un raro esempio di condivisione totale al servizio delle esplorazioni future. Un lavoro che ancora oggi a quasi mezzo secolo di distanza viene consultato e conserva importanti spunti per nuove esplorazioni. Tanti anni di ricerche portano inoltre a teorizzare le possibili vie di drenaggio profondo e l’esistenza di sistemi complessi, come si vanno scoprendo in quegli stessi anni in giro per l’Italia. Alcuni in segno di buon auspicio, danno anche un nome a questo ipotetico complesso “Lepinia”. Purtroppo i Lepini sono avari: i loro meandri sono stretti, bagnati e ancora stretti. I sogni di generazioni di speleologi si infrangono su strettoie e sifoni. Qualcosa cambia quando il GS CAI riprende le esplorazioni all’Abisso Consolini e supera la profondità di -500. Le grotte dei Lepini assurgono alle massime profondità della regione Lazio e cosa fondamentale si dimostra che un carsismo profondo esiste ed è esplorabile. Gli anni ‘90 e poi il primo decennio del nuovo millennio confermano che oltre quei meandri e quei passaggi semisifonanti esiste un mondo profondo tutto da esplorare. Solo per citarne alcune basta fare i nomi dell’Abisso di Monte Fato (-336), Campo di Caccia (-610), l’Erdigheta (-415), l’Occhio della Farfalla (-453), l’Ouso di Passo Pratiglio (-840), la Rava Bianca (-715) e per ultimo Prometeo (-760) e Raul (-500), confermano che forse quel sistema profondo si può documentare. Anzi tra esplorazioni e colorazioni prendono forma due principali reticoli carsici: uno a nord-est relativo all’altopiano di Gorga, l’altro a sud-ovest che comprende la dorsale del monte Capreo-Semprevisa-Erdigheta e la grande valle di Pian della Faggeta. Qui tutte le acque di questa porzione di montagna sembrano dover defluire verso una serie di risorgenze temporanee e cavità parzialmente allagate: Bocca Canalone, Ciaschi, Uomo morto, Isola, e ovviamente Grotta del Formale. Il dislivello potenziale supera il chilometro e le distanze fanno sognare. Ancora una volta è Alberta Felici negli anni ‘90 che inseguendo una sua intuizione, confermata dall'immersione dello speleosub Massimo Bollati, mette in atto un progetto sistematico di esplorazione di quest’ultima grotta. Svuotando un sifone dopo l’altro la sua squadra esplora quasi quattro chilometri di condotte freatiche: un reticolo di grandi gallerie che confermano che Lepinia e le sue acque segrete passano sotto il paese di Carpineto Romano. Le esplorazioni si fermano solo per le difficoltà tecniche di tenere svuotati i sifoni. Negli anni seguenti, ogni volta che esploravano qualcosa di profondo, Alberta dopo averci ascoltato, concludeva sorniona: “Io vi aspetto al Formale!”.
Il sistema Prometeo-Rava sembra porsi in questa prospettiva come uno dei rami medio-alti di questo grande complesso. L’Ouso della Rava Bianca, esplorato dal GS CAI Roma anche con la partecipazione di speleologi di altri gruppi romani e non solo, diventa nei primi anni 2000 la grotta più profonda della regione con una profondità di circa -715 metri. La grotta dopo un tratto prevalentemente verticale, raggiunge a circa -676 metri un grande collettore che sembra dirigersi proprio verso il Formale. Purtroppo un tratto semisifonante ostacola in parte le esplorazioni. Nel 2006 il lago è superato da pochissime persone per scoprire che oltre il collettore prosegue con grandi dimensioni per forse un centinaio di metri fino ad un tratto questa volta sifonante. Lungo la strada sono però molti i punti interrogativi e gli arrivi importanti. La grotta ha già l’aria del sistema, ma profondità e acqua raffreddano gli animi. Bisognerà attendere il 2011-2013 perché la Rava si arricchisca di un ulteriore grande ramo molto acquatico che però si sviluppa ad est della struttura principale, dirigendosi nella parte a monte del collettore. La scoperta nel 2017 da parte di altri speleologi (Cfr. Cronologia) del vicinissimo ingresso di Prometeo (circa cento metri in linea d’aria) riaccende l’interesse per la zona. Che le due grotte dovessero far parte del medesimo sistema era più di un sospetto: totalmente ignoto invece il punto dove potessero andare a congiungersi. La giunzione realizzata la settimana scorsa ad una profondità di circa -750 (rilievo definitivo del sistema in fase di elaborazione) ci ha portato ad innestarci direttamente nel collettore principale della Rava Bianca. Non conoscendo direttamente il collettore della Rava, al momento della giunzione l'idea è stata quella di essere arrivati nel tratto non rilevato dopo il primo lago semisifonante. Le poche impronte presenti ed il racconto di un grande arrivo in questo tratto ci traggono però in inganno. Una volta fuori collegando i due rilievi e la poligonale tra gli ingressi le cose appaiono diverse. Dalla sovrapposizione del tratto di collettore che abbiamo rilevato appare evidente che siamo sbucati molto più a monte di quanto pensassimo: praticamente ad una cinquantina di metri dalla prima confluenza tra il ramo verticale della Rava con un grosso arrivo. In pratica Prometeo si sviluppa vicinissimo alla struttura della Rava e cosa molto interessante, ne rispecchia in tutto direzioni e andamento. Guardando il rilievo sembra di avere davanti l'ombra della Rava, un suo gemello proiettato e traslato circa 50-70 metri a nord-ovest fino a sbucare da un camino già notato nelle esplorazioni del 2005. Questa giunzione conferma l’importanza strutturale del collettore della Rava, che diventa a questo punto la frontiera su cui concentrare i futuri sforzi esplorativi. Che si tratti di possibili bypass o di tentare un immersione il gioco vale la fatica. La quota finale, 410 slm risulta infatti ancora alta rispetto a quelle raggiunte tanto nella Grotta del Formale, quanto recentemente nel vicino Abisso Raul, facendo sperare in un sifone sospeso. Se a valle il sogno è galoppare in galleria verso il Formale, a monte il tassello Prometeo-Rava potrebbe arricchirsi di ulteriori frammenti. Il vicino Abisso Dumanzi rappresenta infatti una appendice idrologicamente collegata ed una colorazione ha dato esito positivo facendo immaginare tratti aerei percorribili. Ma è ancora più a monte che il sistema potrebbe riservare grandi sorprese. Mentre la Rava Bianca ad una quota di circa 1125 slm, si comporta da ingresso basso, il vicino Prometeo a quota 1175 slm si comporta da ingresso meteo-alto, ma con una circolazione d’aria decisamente insufficiente a spiegare da solo l’enorme flusso l’aria uscente dalla Rava. Questo fa chiaramente immaginare come i quasi trecento metri di dorsale sovrastante possano nascondere strutture importanti. Che la zona del Monte Capreo sia generosa di ventarole e buchi soffianti e cosa nota a tutti da decenni, purtroppo fino ad ora anche gli sforzi dei più volenterosi si sono infranti sulla ennesima strettoia. Alla luce però di questo nascente complesso, forse gli sforzi si moltiplicheranno e potrebbe essere la volta buona. Come già detto, dal punto di vista strutturale è interessante notare come la struttura di trasferimento verticale di Prometeo fino alla giunzione con il collettore ricopi traslata la struttura verticale della Rava, mettendo in evidenza come le due siano controllate dai medesimi fasci di fratture. Questo unitamente ai due rami paralleli che erano già presenti, porta ad immaginare come sia possibile la presenza di ulteriori reseau paralleli anche più a valle. Dal punto di vista idrologico, l'apporto di Prometeo sembra essere dominante con un flusso maggiore, ma si tratta di osservazioni ancora preliminari da verificare. Lungo la via verso giunzione, si identificano diversi arrivi importanti a partire dalla profondità di -250 circa (Sala del Compleanno). Nella maggior parte dei casi si tratta di fusi e camini importanti che potrebbero essere altrettante vie verso ipotetici ingressi alti. Un altro arrivo importante si individua per esempio nella Sala della Dama Bianca, alla profondità di -550. Qui in testa ad una grande colata attiva, 20-30 metri in alto, si individua l'imbocco di un possibile meandro. Anche più in profondità alcune finestre fanno pensare ad un possible livello di gallerie fossili di sicuro interesse esplorativo. In corrispondenza di alcuni di questi punti, sono state inoltre notate nette correnti d'aria entranti che potrebbero confermare la presenza di ulteriori ingressi alti. Viste le grandi dimensioni, la circolazione d'aria sul collettore del fondo non ci è apparsa chiarissima e merita sicuramente una attenta valutazione. Dal punto di vista storico, le esplorazioni del 2006 riportano chiaramente la presenza in estate di una forte corrente d'aria proveniente dalla zona dopo il lago semisifonante. Considerato che Prometeo che si comporta da moderato ingresso alto, si è innestato a monte, è quindi certa l'esistenza di una struttura a valle che funziona da importante ingresso meteo-alto. Struttura da cercare nell'area di montagna immediatamente a nord ovest. Praticamente una delle ventarole del Capreo. Il fatto che il sistema Prometeo-Rava si sviluppi in una zona estremamente ristretta di montagna, ci porta inoltre ad una interessante riflessione. Il sistema esplorato si sviluppa attualmente sotto circa 1/5 di chilometro quadrato di superficie mentre l'esplorato attualmente (rilievi in elaborazione) si aggira intorno ai 3,5-4 chilometri di sviluppo spaziale portando quindi ad una altissima densità di vuoti carsificati. Considerato che l'area della dorsale Semprevisa-Capreo appare omogenea del punto di visto litologico e strutturale per almeno un paio di chilometri quadrati, le potenzialità del sistema appaiono molto allettanti. La speranza aiuta sempre ad esplorare, ma a titolo di comparazione, una tale livello di carsificazione profonda, appare del tutto comparabile a quello presente nei grandi complessi carsici delle apuane o del marguareis. Ovviamente li le cose sono ben verificate dalle esplorazioni, mentre qui per ora siamo ancora a livello di ipotesi, ma forse a patto di impegnarsi seriamente alla fine i Monti Lepini potrebbero non avere molto da invidiare in quanto a carsificazione rispetto ad altre aree carsiche ben più famose. 
Poche settimane fa, in Toscana una grande giunzione ha regalato alla Speleologia italiana un complesso di oltre 63 chilometri. La giunzione tra Prometeo e Rava, sebbene abbia permesso la nascita di un complesso di circa 760 metri di profondità (seconda grotta del Lazio) e di quasi quattro chilometri di sviluppo spaziale (dati da ancora da verificare con esattezza) è per ora di un altro ordine di grandezza. Ma ci dimostra che anche in questa regione si può pensare a sistemi carsici in grande. Forse tra qualche anno, guardando come i pezzi di questo grande complesso si saranno incastrati, potremmo ricordare con un sorriso i tempi lontani in cui esistevano solo singole grotte, pensate ed esplorate come mondi isolati. Per realizzare decine di chilometri di esplorazioni però ci vogliono centinaia e centinaia di punte. Punte che devono essere fatte da decine e decine di speleologi in primo luogo motivati e appassionati, ma anche tecnicamente preparati. Le grotte non regalano nulle e quelle nei Lepini forse meno che altrove, ma come abbiamo visto, se si vuole credere in un grandioso progetto comune, lo spazio c’è per tutti. E’ ora di cominciare ad esplorare per davvero, e ora di pensare ad un grande complesso per tutta la Speleologia Laziale e non solo!

Schema generale dei sistemi carsici dei Monti Lepini. Da G.Mecchia M. Piro (2013) Modificato
(Vista la scala dello schema la posizione di Prometeo è indicativa in quanto troppo vicino per potersi disegnare separato. Nella realtà va pensato ancora più vicino all'ingresso della Rava bianca lungo l'asse SE)



Tavola GS CAI 2007  Modificata.. 
Il rilievo di Prometeo è ancora in fase di elaborazione, ma si nota coma il punto di giunzione sia prossimo 
alla confluenza, mentre l'intera struttura ripercorre in parallelo il tratto di trasferimento verticale della Rava. 
Le correnti d'aria osservate sia in questa punta che citate in bibliografia, fanno ipotizzare la presenza di altri 
sistemi che si potrebbero sviluppare nella fascia di montagna appena a NO e che andrebbero ad innestarsi nel
 collettore.  





Ingresso di Prometeo

I salti dopo il Pozzo Arravaciao a circa -630... oltre 150 metri di corde spariscono rapidamente...

L'ultimo pozzo porta ad una grande sala dove si intercetta una galleria...









Davanti alla grande galleria che viene da monte e va verso valle c'è una certa perplessità...
Si tratterà del collettore della Rava Bianca? Sarà giunzione e sopratutto dove?




Percorrendo il grande collettore dopo alcune decine di metri compaiono le prime tracce...fino ad una cordella lasciata dalle  esplorazioni nel 2005! La giunzione è certa. Proseguendo arriviamo nei pressi dello pseudo-sifone.








La Sala Ciao Rava! diventa così il punto di giunzione delle due grotte, con il punto di rilievo marcato 127. Accanto un piccolo omino e due frecce indicano la direzione per l'ingresso di Prometeo e quello della Rava. 





Cronologia esplorazioni Abisso Prometeo


06-05-2017
Scoperta dell’ingresso:
D. Agrifoglio, P. Forconi, L. Russo

14-05-2017
Disostruzione dell’ingresso e scoperta di un p40:
D. Agrifoglio, P. Forconi, L. Russo, F. Sciaudone

20-05-2017
Disostruzione ed esplorazione fino a circa -60m:
P. Forconi, L. Russo, P. Turrini, V. Danieli

27-05-2017
Disostruzione ed esplorazione fino a Sala Cozza circa -80m:
D. Agrifoglio (?), M. Baldoni (?), P. Forconi, F. Nozzoli, L. Russo, F. Sciaudone, P. Turrini

10-06-2017
Esplorazione fino a pozzo Di-vino, circa -100m:
D. Agrifoglio, M. Baldoni, P. Forconi, L. Russo, F. Sciaudone, P. Turrini

17-18-06-2017
Esplorazione, disgaggio e armo pozzo “Io non ho paura” fino a circa -220m:
M. Baldoni, P. Forconi, V. Nicolia, L. Russo, R. Pettirossi, P. Turrini

25-06-2017
Esplorazioni sala del Compleanno, fino a circa -250m:
P. Forconi, L. Russo, (c’era qualcun altro?)

01-07-2017
Armo e discesa pozzo “Il Viaggio” (p90), fino a circa -400m:
G. Antonini, M. Baldoni, P. Forconi, R. Pettirossi, A. Rosa, L. Russo, P. Turrini

15-07-2017
Esplorazione Canyon fino a circa -450m:
M. Baldoni, T. Biondi, P. Forconi, R. Pettirossi, L. Russo, P. Turrini, Zairo (il suo nome?)

21-01-2018
Risalita nella prima parte della grotta a -60
F.Casadei, F. Sciaudone, M. Mulargia, M. Baldoni, P. Forconi

02-06-2018
Risalita alla sala del Compleanno, a circa -250m:
M. Baldoni, A. Rosa, F. Romana Ajale, M. Puletti, L. Russo

08-09-2018
Esplorazione fino a Galleria del campo, circa -550m:
M. Baldoni, A. Benassi, F. Casadei, R. Pettirossi, L. Russo, P. Turrini

29-09-2018
Esplorazione fino a pozzo ARavaCiao, circa -600m: A. Benassi, R. Pettirossi, P. Turrini
Si fermano al campo base a -550m e tornano indietro: L. Russo e M. Puletti

08-08-2020
Esplorazione fino a Congiunzione con collettore Rava Bianca a -760m
A. Benassi, F. Casadei, R. Pettirossi, P. Turrini



La punta che ha portato alla giunzione è stata purtroppo accompagnata da una serie di polemiche e accuse di 'pirataggio' da parte di alcuni nei nostri confronti. Le polemiche durante le esplorazioni non sono una novità, è un fatto però che in questo caso le discussioni, principalmente diffuse tramite social, sono sfociate anche in ingiurie e offese personali, gratuite e pesanti. Visto il contesto ed il tono abbiamo preferito evitare inutili battibecchi che avrebbero portato solamente ad acuire la situazione già al limite del decoro e della volgarità. Non rispondere via social, non vuol dire però assolutamente che siamo in torto. Le accuse di pirataggio sono totalmente inconsistenti. 
Come si può vedere dalla cronologie delle esplorazioni, gli autori sono parte degli stessi esploratori che hanno condotto tutta l'esplorazione, mentre i materiali utilizzati sono il frutto di impegno economico collettivo. 
Senza voler sollevare ulteriori polemiche e tenendoci lontani dal rispondere alle ingiurie e alle gravi offese che ci sono state indirizzate, ci teniamo quindi a difendere il nostro onore e la nostra correttezza rinviando al mittente le fantasiose accuse ed invitando tutti a fare più speleologia in grotta che sui social.  






BIBLIOGRAFIA:

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BULLI C. MANCINI B.:"Ouso della Rava Bianca: un'altra via per il fondo?" in Speleologia del Lazio n°7, 2014, pp.73-78
CAPPA E.:"Novità al Formale", in Bollettino Speleo Club Roma, n°12, 1996, p.59
CAPPA E.:"Il Formale di Carpineto Romano", in Speleologia, SSI, n°37, dic. 1997, pp.13-20
DALMIGLIO P.: "Geografia sotterranea dei Monti Lepini", in Speleologia del Lazio, n°7, 2014, pp.24-41
FELICI A. "Il carsismo dei monti Lepini (Lazio): il territorio di Carpineto Romano" in Notiziario del Circolo Speleologico Romano, anno XXII, n°1/2, 1977, pp.3-224
FELICI A. GIURA LONGO A- GRASSI L & TRIOLO I.:"L'essplorazione della grotta Ciaschi apre la porta alla scoperta del drenaggio profondo dei Monti Lepini (Lazio Italia). Atti XVII Congresso Nazionale di Speleologia (Castelnuovo di Garfagnana 1994) volume prima, 1997, pp.25-30
GIURA  LONGO A. TAVERNITTI M. MAZZEO R., "Esplorazione della Rava Bianca", in L'Eco del Pipistrello: Gruppo Speleologico CAI Roma, n°1, 2007, pp.33-48
MECCHIA G. MECCHIA M. PIRO M. BARBATI M.:"Le grotte del Lazio. I fenomeni carsici elementi della geodiversità." Regione Lazio, Collana Verde dei Parchi, Serie Tecnica n°3,2003
MECCHIA G. PIRO M.: "Monti Lepini". in Speleologia n°68, Giugno 2013, pp. 26-30
OLIVETTI V., MECCHIA M., GIGANTE C.: “Le acque segrete dei Monti Lepini, nuove colorazioni e ipotesi idrogeologiche.“ in Atti V Convegno di Speleologia del Lazio, Notiziario n°16 Speleo Club Roma, 2012, pp.42-47
ZAMBARDINO A. TURRINI P. BATTISTI V.:a cura di "Speciale Atti del Convegno Carpineto Città della Speleologia", in Speleologia del Lazio, n°7, 2014, pp.42-78