mercoledì 8 maggio 2024

Il sale della Terra: grotte nei diapiri salini di Zinga

 Nel contesto delle rocce evaporitiche, l'halite, volgarmente conosciuta come salgemma è una roccia dove i fenomeni carsici si sviluppano con una rapidità di diversi ordini di grandezza superiore a quella a cui siamo abituati. La sua estrema solubilità, (fino a circa 360 grammi per litro di acqua!) rende però questi fenomeni praticamente quasi confinati nei climi aridi. C'è inoltre da considerare che sebbene banchi di halite siano presenti in grandissima quantità nelle crosta terrestre, nella maggior parte dei casi, non affiorano, ma si trovano sepolti anche chilometri sotto la superfice. Tutto questo rende le grotte nel sale un fenomeno abbastanza raro e poco comune. Senza entrare nei dettagli dei meccanismi affascinanti e complessi che regolano l'halokinesis (ovvero il movimento e galleggiamento viscoso delle masse saline nel sottosuolo), basti sapere che per nostra fortuna al sale piace spesso risalire in superfice, principalmente sotto forma di estrusioni: ovvero grandi domi o colonne saline, meglio noti come diapiri salini. Ecco cosi che in giro per il mondo troviamo una discreta quantità di questi diapiri come isole di sale delle dimensioni più varie. Alcuni interessati ancora da una spinta capace di generare delle vere e proprie 'fontane' e ghiacciai di sale che fluiscono lentamente, come i Namakier in Iran, altri oramai immobili. Troviamo grotte di sale in Israele, in Iran, in Algeria, nel deserto cileno di Atacama cosi come in quello del Tagikistan. In alcuni rari casi, grazie ad un pò di fortuna e ad un buon caprock, ovvero uno strato capace di proteggere il sale da una dissoluzione troppo rapida, troviamo fenomeni carsici di questo tipo anche in climi non propriamente desertici. In Europa per esempio troviamo importanti grotte nell'halite nel diapiro di Cardona in Spagna e in diversi affioramenti in Romania, tra cui il più importante noto come il Meledic Plateau. Rispetto al territorio italiano, nell'ambito della crisi di salinità del Messiniano, oltre alla sequenza di banchi gessosi, come ben noto si sono generati anche potenti banchi di halite. Banchi che purtroppo giacciono sepolti in profondità e infatti raggiunti in diversi casi solo dall'attività mineraria. Abbiamo però una fortunata eccezione in Calabria, nel bacino del Crotonese, dove nel contesto della nota serie evaporitica, troviamo diversi piccoli diapiri salini che affiorano in superfice. Principalmente nel territorio del comune di Casabona. La presenza di questi diapiri è nota in bibligrafia almeno dagli anni '60, nonché citata in diversi lavori sul carsismo nei gessi. Di recente alcune ricerche, hanno inoltre affrontato la caratterizzazione delle diverse facies presenti, nonché lo studio delle inclusioni fluide nei cristalli per ricostruirne le condizioni paleoclimatiche di origine. Nel contesto del patrimonio geologico nazionale si tratta di un caso praticamente unico e infatti l'area ha ottenuto negli ultimi anni, una certa visibilità come geosito e meta di turismo geologico. 







Dal punto di vista speleologico al contrario, in bibliografia non risulta documenta l'esistenza di grotte in queste formazioni. Con queste premesse, la scorsa settimana siamo andati a dare un occhiata direttamente sul posto per capire le potenzialità dell'area.

 



La nostra brevissima ricerca si è concentrata sui quattro principali punti dove affiora la matrice salina: in parte protetta da un sottile caprock breccioso e in parte sovrastata da argille. Qui abbiamo documentato l'esistenza di almeno sei grotte tra pozzi, risorgenze e inghiottitoi che si sviluppano nell'halite (in alcuni casi i fenomeni iniziano come grotte e collassi di soffusione nella matrice argillosa e quindi raggiungono lo strato salino) per un totale di circa 200 metri di sviluppo. La più lunga misura circa 70 metri e rappresenta la parte attualmente accessibile di un piccolo traforo idrogeologico saltuariamente attivo.

 Allo stato attuale delle conoscenze, questo risulta sicuramente il fenomeno più importante presente. Localmente noto come Grotte di Mandria Vecchia, dalle testimonianze raccolte è risultato conosciuto dagli abitanti di Zinga da un ingresso all'altro, da almeno 60-70 anni e percorso occasionalmente almeno fino a 15-20 anni fa, quando alcune frane lo hanno reso di difficile accesso.  Nei climi non desertici, le grotte nel sale evolvono molto rapidamente e la presenza dei depositi argillosi modifica facilmente la loro percorribilità. Proprio in questa prospettiva nei vari diapiri, ci sono diverse zone che secondo noi presentano ulteriori potenzialità esplorative. 

La solubilità del sale, rende gli speleotemi di halite, qualcosa di molto effimero e mutevole ma anche affascinante nelle forme e tipologie. Accanto a stalattiti, croste, rim, raft e tante altre forme microcristalline, nelle grotte esplorate, fanno così bella mostra anche diversi speleotemi macrocristallini a base di cristalli cubici di halite tra cui tutta una serie di stalattiti composte da una sequenza di cristalli scheletrici ed euedrali.







Vista l'estensione dei diapiri, dal punto di vista esplorativo è difficile immaginare la presenza di grandi sistemi ipogei. Allo stesso tempo, la documentazione di queste grotte, anche se di limitata estensione, aggiunge senza dubbio valore al contesto e alla sua unicità sul territorio nazionale.

 Si possono inoltre  immaginare anche interessanti ricerche e monitoraggi proprio sull'evoluzione nel tempo di questi fenomeni. Tanto il ciclo degli speleotemi, quanto l'evoluzione morfologica di questi piccoli sistemi, si prestano bene a diventare modelli da studiare.

 Ovviamente torneremo ancora sui diapiri di Zinga, magari anche in compagnia di chi sia interessato a documentare una speleologia sicuramente diversa dall'0rdinario! 


Andrea Benassi, Roberto Pettirossi, Mauro Masci











Bibliografia


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CIPRIANI, M. (2020) FACIES ANALYSIS AND FLUID INCLUSION STUDIES OF THE MESSINIAN EVAPORITES, CALABRIA, SOUTHERN ITALY

ITALY. Chabert C. Courbon P. (1997) Atlas des cavites non calcaire du monde

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Ferrini, G. & A. Moretti, 1998: La geologia dell’area di Verzino nel Bacino Crotonese. - In Ferrini G. (ed.), L’area carsica delle Vigne (Verzino – Crotone). Mem. Ist. It. Spel., vol. 10, s. II, 15-27. 

Ferrini, G. & A. Moretti A., 2003: Calabria. - In Madonia, G. & P. Forti (eds.), Le aree carsiche gessose d’Italia. Mem. Ist. It. Spel., vol. 14, s. II, 243-252.

Filippi, M., Bruthans, J., Palatinus, L., Zare, M., & Asadi, N. (2011). Secondary halite deposits in the Iranian salt karst: general description and origin. International Journal of Speleology40(2), 8.

Forti, P. (2017). Chemical deposits in evaporite caves: an overview. Int J Speleol46(2), 109-135.

Gunn, J. (2004). Encyclopedia of caves and karst science. Routledge.

Parise, M., & Trocino, A. (2005). Gypsum Karst in the CrotoneProvince (Calabria, Southern Italy). Acta carsologica34(2).

Ponta, G. M., & Onac, B. P. (Eds.). (2018). Cave and Karst Systems of Romania. Springer.

RODA C., 1964 - Distribuzione e Jàcies dei depositi neo genici nel Bacino Crotonese. Geo!. Rom., 3, pp. 319-366.

Schreiber, B. C., Lugli, S., & Babel, M. (Eds.). (2007). Evaporites through space and time. Geological Society of London.

Warren, J. K. (2016). Evaporites: A geological compendium. Springer.



domenica 22 gennaio 2023

Grotte Vaporose e Smoking Shaft

 

Che nelle grotte circoli aria è cosa nota a tutti. Tra i differenti ingressi si instaura infatti una circolazione convettiva, dove la differenza di temperatura e l’inerzia termica generano la sufficiente spinta pressoria per superare l’attrito e mettere in movimento masse d’aria più o meno grandi. A questa forza si sommano inoltre gli effetti dell’espansione o compressione barometrica dovuta alle onde di pressione atmosferica; generando così complessi e articolati movimenti di flusso. Le grotte infatti più che respirare, parlano, anzi come diceva Giovanni, cantano una propria e peculiare melodia.


Il pennacchio di vapore uscente da una delle cavità scoperte in Grecia. Si tratta di una grotta ipogenica sulfurea, 
con uno sviluppo attuale di circa 400 metri. 

Ma se tutte le grotte, hanno una loro voce, composta dalle vibrazioni generate da invisibili flussi di gas in movimento, alcune si divertono anche a farci vedere questa voce, sotto forma di grandi flussi di vapore. Già ad alcune grotte piace proprio strafare e non è per nulla esagerato dire che fumano, tanto da meritare l’appellativo di Smoking Shaft. Ovviamente quella del fumo è una metafora per dare l’immagine della colonna di vapore che si alza da alcuni ingressi. Vapore che non deriva chiaramente da nessun processo di combustione, bensì è il semplice effetto della condensazione della componente d'acqua presente nel flusso d’aria uscente. L’aria atmosferica e ovviamente anche quella circolante in grotta, contiene sempre una certa quantità di acqua in fase gassosa. Quantità che esprime appunto la sua umidità relativa. Ovviamente sotto forma di percentuale, perché una delle più importanti magie dell’aria è proprio quella di poter trattenere quantità variabili di acqua in funzione della sua temperatura. Se così non fosse, potremmo dire addio a tutto il ciclo dell’acqua e forse anche alla vita. Fortunatamente per noi l’aria ha un carattere mutevole, e basta un po' di freddo per far sbocciare la rugiada e magari far piovere. 



Il flusso di vapore di cica 5 metri cubi al secondo (26°) risale dal P70 in una grande grotta ipogenica sulfurea che abbiamo recentemente scoperto in Albania. Lo sviluppo attuale supera i 500 metri.



Proprio il dew point, ovvero punto di rugiada è la temperatura sotto la quale, una determinata massa d’aria contenente una determinata quantità di acqua, diviene sovrasatura ed è obbligata a cederne una parte che andrà a condensare: su superfici o pulviscolo, generano film, gocce, nebbie e aerosol. Questo è il meccanismo normale di tutte le nebbie da condensazione che sembrano alzarsi nel freddo delle mattine d’inverno da fiumi e laghi. 

E come fanno le grotte a fumare generando colonne di vapore? Come sappiamo bene per cercare nuovi ingressi basta aspettare l'inverno dopo una bella nevicata in alta quota e andare alla ricerca di ingressi meteo alti: ovvero bocche calde, che convogliando un flusso d'aria con una temperatura superiore a quella che ha l’ambiente esterno in quel momento, sciolgono la neve. Ma la colonna d’aria calda che sale, oltre a sciogliere la neve fa dell’altro. L’aria uscente sarà quasi certamente satura di umidità raccolta nel suo percorso sotterraneo ed uscirà quindi con una umidità relativa prossima alla saturazione. L’improvviso abbassamento della sua temperatura man mano che si avvicina all’ingresso, la porterà a dover condensare parte di quest’acqua sulle pareti. Quanta acqua? Questo dipende da molti fattori: metri cubi al secondo di aria, temperatura esterna e soprattutto temperatura del flusso d’aria uscente. Appare evidente infatti che più è calda l'aria che vuole uscire, più acqua potrà avere in sospensione; più sarà fredda l’atmosfera esterna, più ne dovrà cedere all’improvviso generando appunto una colonna di vapore che si rende improvvisamente visibile come una nuvola spuntata dalla terra. In teoria ogni sistema carsico con abbastanza circolazione d’aria può in determinate condizioni produrre grandi colonne di vapore: per esempio nel sistema del Monte Corchia, l’ingresso del Figherà spesso produce grandi pennacchi bianchi. La temperatura relativamente calda del sistema, il grande volume d’aria, il tutto unito alle gelide mattina invernali in Apuane può creare la magia. 

Ma se vogliamo invece trovare grotte capaci di fumare spesso e volentieri? Come facciamo a trovare l’intreccio magico di queste condizioni? Semplice dobbiamo trovare una grotta molto calda che si apre in un posto molto freddo o almeno abbastanza freddo da permettere spesso di avere 20 o anche 30 gradi di differenza tra la temperatura interna e quella esterna.


Schema generale di molteplici fenomeni legati alla speleogenesi ipogenica. Philippe Audra, 2007, 2017


Il modo migliore è cercare grotte ipogeniche caratterizzate da forti anomalie idrotermali ancora attive o quasi. In questo caso la temperatura del sistema sarà data completamente o in parte dalla componente termica apportata dalla risalita dei fluidi profondi. 

La grotta si comporterà come una sorta di grande scambiatore di calore generando anche una grande spinta capace di muovere grandi volumi d’aria. Una circolazione che si può generare sia tra ingressi differenti, ma a volte anche in presenza di un solo ingresso in seguito alle turbolenze generate dalla grande differenza di temperatura. Una grotta di questo genere, sarà quindi caratterizzata dalla circolazione di una grande quantità di aria (molti metri cubi al secondo) capace di trasportare grazie alla sua alta temperatura, grandi quantità di acqua in fase gassosa proveniente dall'evaporazione di fluidi termali. Acqua che in parte arriverà fino all’esterno condensando in grandi nuvole bianche, creando pennacchi alti anche decine di metri. Ovviamente anche in questo caso le mattine fredde d’inverno aiutano l’effetto, ma a differenza delle grotte normali, le smoking shaft, non seguono il normale ciclo di inversione e spesso soffiano durante tutto l’anno proprio grazie al loro gradiente interno ben sopra la temperatura media locale. Si potrebbe dire che in queste grotte, una quantità non trascurabile di acqua, invece di scendere per tornare a giorno come tutte le acque normali, dopo essere risalita dal profondo, decide di continuare e salire direttamente in atmosfera. Viste in questa prospettiva le smoking shaft sono davvero sorgenti di nuvole!

E quante sono le grotte di questo genere in giro? Una domanda semplice a cui non è poi così facile rispondere. Se da un lato scoprire una grotta del genere sembra tanto semplice quanto meraviglioso, in quanto visibile da centinaia di metri quando non chilometri di distanza, il fatto che si tratti di fenomeni legati a zone termali, spesso poste presso zone carsiche minori o addirittura sconosciute, non aiuta.

(Tralascio in queste brevi note di affrontare il complesso problema della composizione chimica dell'atmosfera delle grotte vaporose. La questione mette infatti in alcuni casi in campo non solo l'energia termica come meccanismo per accelerare la circolazione di aria atmosferica, ma anche la presenza di gas, principalmente CO2 di origine profonde, endogena, legata a molteplici processi di degassamento degli strati profondi. Altra cosa infatti sono le mofete e le grandi sorgenti di CO2 che a volte in presenza di faglie profonde possono risalire anche in alcuni sistemi carsici rendendo oltremodo pericolosa l'esplorazione. In questo caso non si tratta di circolazione atmosferica ma risalita di gas sottopressione. Alcune smoking shaft, più uniche che rare, presentano una atmosfera mista, legata anche alla presenza di importanti risalite di CO2 profonda, come la Sima de Vapor e si presentano estremamente interessanti dal punto di vista scientifico. Ovviamente esplorando posti del genere, conviene appurare durante la progressione la natura dell'atmosfera ed il suo evolvere nel corso della cavità. Nel caso delle grotte da noi esplorate in Grecia e Albania, nonostante la presenza di faglie importanti lungo cui è impostata l'attività termale, non abbiamo misurato significative risalite di CO2 profonda. I valori all'interno delle due grotte si attestavano infatti intorno alle 800-1000 ppm. Valori che sebbene più alti di quelli esterni, si pongono ben lontani da quelli presenti in cavità interessate da risalite di gas. La questione sarà comunque approfondita con altre misurazioni nel corso delle prossime esplorazioni.)


Tra le grotte vaporose più famose e note, non possiamo che cominciare con il sistema del Monte Kronio, in Sicilia, composto dalle famose Stufe di S.Calogero e dalla Cucchiara. Con una temperatura compresa tra 36-38° ed un flusso vaporoso medio stimato in 2-4 metri cubi al secondo, le Stufe sono capaci di generare vapori e pennacchi di tutto rispetto. Se cerchiamo ancora in Italia, abbiamo molte grotte ipogeniche sulfuree legate a fluidi profondi e caldi (Le Balze di Cristo, La Grotta di Montecchio, Il sistema di Acquasanta e molte altre) ma nessuna è realmente in grado di generare un flusso di vapore costante tale da manifestarsi all’esterno. Fanno eccezione due grotte piccole e quasi sconosciute presenti nel Lazio: Il pozzo del Fornello, ed in misura minore la Grotta dei Serpenti. O almeno queste sono le mie attuali conoscenze. Se ci spostiamo in Europa, come ci raccontano i lavori di Philippe Audra, ne troviamo almeno due in Spagna: la Sima de Las Fumarolles (29°c) e la Sima del Vapor (41°c), mentre abbiamo un Gouffre de la Vapeur anche in Francia e altre due strutture simili in Austria, nonché una serie di grotte e fratture vaporose anche in Macedonia. 


P.Audra 2007,2017




































Sono da considerare a tutti gli effetti Smoking Shaft i due sistemi che abbiamo recentemente trovato in Grecia e Albania: entrambe grotte SAS e direttamente legate a falde sulfuree attive con temperature intorno ai 30° e capaci di muovere flussi d’aria di oltre 5 metri cubi al secondo a temperature superiori ai 25°. Grotte che nel caso di quella scoperta in Albania e ancora in esplorazione, con una profondità di oltre 80 metri ed uno sviluppo attuale di oltre mezzo chilometro, comincia ad assumere dimensioni significative. 




Al contrario non sono ancora grotte ma solo fratture vaporose invece, quelle presenti ad Amarantos sempre in Grecia con temperature in uscita dai 34-38° e flussi di 3-4 metri al secondo, nonché la sorgente di Vapore di Leskovic in Albania con temperature tra i 40-50°. Se poi dovessimo andare a cercare fuori dall’Europa, la faccenda non si fa cosi semplice e le bibliografie non aiutano molto. Abbiamo sicuramente una grotta vaporosa in Tunisia con temperature intorno ai 50° e forse altre attendono di essere identificate sempre in Nord Africa.



Ingresso del grande Smoking Shaft scoperto in Albania. Si nota la traccia nera sulla parete che segna il flusso costante di vapore in uscita.



Nei pressi di Amarantos in Grecia, da alcune grandi fratture risale una grande quantità di vapore a circa 34- 38° 

Sopra alcune delle fratture vaporose di Amarantos, cresce rigoglioso un denso tappeto di muschi. Il colore da lontano appare biancastro, ma se si osserva si scopre che è dato dalla incredibile quantità di gocce d'acqua microscopiche che condensano al passaggio del vapore, fornendo alla piante le condizioni ottimali per vivere. 

Percorrere una galleria vaporosa è come essere immersi in un flusso costante dove aria e acqua si confondono. 


Allo stato attuale non si può certo dire che si tratti di fenomeni comuni e infatti sono pochi gli speleologi che si aspettano di poter andare a caccia di grotte scrutando l’orizzonte come un indiano in cerca di segnali di fumo. Eppure se ci si trova nel posto giusto è decisamente la migliore delle strategie da mettere in campo! 

Le anomalie termiche e le sorgenti termali sono presenti ovunque nel pianeta e sicuramente innumerevoli sono le fratture i pozzi e anche i sistemi carsici anche di grandi dimensioni, ancora ignoti, capaci di generare incredibili flussi di vapore e affascinare come una magia.

Dal punto di vista evolutivo, le grotte vaporose, sono un tassello del complesso mondo del carsismo ipogenico e di questo condividono le molte peculiarità e singolarità. Morfologie, depositi secondari e tanti altri aspetti le rendono un campo meraviglioso di ricerca dove investigare fenomeni spesso più unici che rari. Allo stesso tempo sono un luogo capace di regalare una esperienza speleologica veramente spiazzante. Più del caldo a caratterizzarle dal punto di vista sensoriale è proprio la percezione di essere avvolti da un vero e proprio fiume. L’esperienza della grotta come spazio vuoto da percorrere scompare per lasciare il passo alla percezione di muoversi in un fluido viscoso. La loro voce non è più un qualcosa di astratto da misurare e immaginare, bensì esperienza continua di tutti i sensi. Qualcosa che si vede, si sente come rumore, si percepisce sulla pelle e si può annusare. Eppure allo stesso tempo qualcosa capace di conservare il mistero della sua provenienza. Esplorarle diventa così quasi nuotare come un pesce controcorrente, tra geometrie di aria e acqua tra forme che si percepiscono sulla pelle e si manifestano sulle morfologie delle gallerie, la presenza di gocce d'acqua o sulla posizione delle concrezioni.

Le grotte vaporose sono luoghi strani, luoghi capaci di sorprendere, anche lo speleologo più navigato. Posti difficili da descrivere usando come unità di misura il metro lineare, ma che al contrario si trovano più a loro agio se raccontate usando joule, calorie, gradi, e al limite metri cubi al secondo.

Ma soprattutto sono luoghi capaci di cantare una misteriosa melodia in grado di affascinare e stregare tutto il corpo.


(Andrea Benassi)






giovedì 3 novembre 2022

Hintereis Ferner

 
















Muovendoci verso est di ghiacciaio in ghiacciaio siamo arrivati sull'Hintereis Ferner, il gigante che dal versante orientale della Palla Bianca scorre in Austria. Un corpo glaciale osservato e studiato dalla metà dell'800. Anche qui il fenomeno glaciocarsico si mostra diffuso e di grandi dimensioni. Oltre alla maestosa bocca glaciale, abbiamo iniziato l'esplorazione di due grandi grotte di contatto, di cui una misura attualmente oltre 350 metri di sviluppo e prosegue con grandi gallerie verso il centro del ghiacciaio. 


mercoledì 19 ottobre 2022

Esplorazioni sul Ghiacciaio di Vallelunga: il punto

 Sembrava semplice, ma alla fine sono servite quattro uscite tra fine agosto e metà ottobre e l'aiuto di tantissimi amici, per poter dare una forma ai fenomeni glaciocarsici presenti a Vallelunga. Dieci giorni passati a girare tra rock glacier a caccia di ingressi e mulini cercando di capire i percorsi delle acque e soprattutto cercando di immaginare la relazione tra la presenza di grotte ed il repentino ritiro del ghiacciaio. Abbiamo scoperto con un misto di sorpresa e perplessità che non tutte le acque glaciali sono purissime e leggerissime. Abbiamo percorso con stupore molte centinaia di metri di gallerie caratterizzate da forme e colori onirici. Pensando con malinconia che a breve quei luoghi scompariranno come i sogni al mattino. Le esplorazioni speleoglaciali sono quanto di più impermanente si possa immaginare e la mappa può fissare nel tempo solo il ricordo delle nostre scorribande e aiutarci a capire qualcosa di come vive e muore un ghiacciaio. Abbiamo tracciato e disegnato quasi due chilometri di vuoti, che come i cammini degli Uomini cavi di Daumal, vivono e si muovano come bolle sotto un cielo di ghiaccio. Ci siamo dati qualche risposta, ma fortunatamente abbiamo trovato anche tantissime domande con cui continueremo a meravigliarci.


martedì 11 ottobre 2022

lunedì 26 settembre 2022

Sistema glaciale di Vallelunga

 


Tavola d'insieme dei fenomeni glacio-carsici attualmente identificati sul ghiacciaio di Vallelunga

Circa un mese dopo la prima survey di fine agosto, siamo tornati sulla Vedretta di Vallelunga per capire qualcosa di più sul reticolo di grotte glaciali attualmente presenti nella parte bassa del ghiacciaio. Piazzata la tenda al solito posto ci siamo quindi avviati verso il grande anfiteatro. Dopo una notte un poco fresca, il torrente finalmente ghiacciato ed il limo trasformato almeno per qualche mese in permafrost, ci hanno accolto in un silenzio irreale. Con un poco di fortuna e tanto freddo il grande arco, il glacier-gate potrebbe anche sopravvivere all'autunno e raggiungere l'anno nuovo. Certo ogni volta che ci passi sotto non puoi non notare quanto sia sottile e come si regga sul filo dell'equilibrio. Fermarsi a contemplare il soffitto comincia ad essere poco furbo. Anche un solo mese ha prodotto ulteriori cambiamenti e si vedono: l'ingresso delle gallerie ha perso quasi un metro. Il primo obiettivo è dare una forma a questo reticolo e cosi senza accorgerci passiamo quasi quattro ore a rilevare gallerie e grandi loop. Tra i punti interrogativi lasciati in sospeso la scorsa volta uno ci porta in una grande galleria che ci regala un terzo ingresso alquanto instabile. Sono quasi le undici quando usciamo sul tra le pietraie che ricoprono il ghiacciaio sul versante nord  La temperatura è salita e parte dell'acqua scorre dalla parete tra grandi colate di ghiaccio. Chiudiamo il rilievo di questa parte del sistema, rientrando dal secondo ingresso e quindi rapidamente ci dirigiamo verso il grande traforo creato dalla cascata che scende dal Gepaschferner. Da quando una quindicina di anni fa questo ghiacciaio si è separato dal corpo principale, il torrente che cade dalle pareti ha costantemente minato il corpo di ghiaccio creando questa enorme grotta di contatto. I volumi d'acqua che la percorrono fino ad autunno inoltrato sono enormi ed il grande collasso creatosi nel ghiacciaio tra il 2016-2019 è chiaramente da mettere in relazione con questa grotta. L'ingresso mostra evidente i segni del continuo arretramento ed è altamente probabile che nel giro di 2-3 anni questo traforo si trasformi in un taglio capace di separare quanto resta verso valle del ghiacciaio. La domanda non è se accadrà ma solo quando. Per oggi ancora possiamo camminare sotto un cielo di ghiaccio. L'altra volta a metà della galleria, avevo intuito da lontano l'esistenza di una confluenza proveniente dalla parte a monte del ghiacciaio, ma la troppa acqua e le temperature estive sconsigliavano l'esplorazione. Buona parte del flusso d'acqua è ancora ghiacciato e ora la confluenza si vede e si raggiunge bene. Dopo un passaggio basso la galleria continua e anche di grandi dimensioni. Si tratta chiaramente del drenaggio subglaciale che proviene da quanto resta del ghiacciaio e che sta portando qui le acque di ablazione inghiottite dai sovrastanti mulini. Tutto molto interessante e quindi non resta che andare ad esplorare e vedere fino a dove si riesce ad arrivare. Le forme della galleria sono ben diverse da quelle del traforo: bassa e larga tradisce il peso del ghiaccio sovrastante e a differenza del traforo probabilmente durante l'inverno, al diminuire del flusso idrico, tenderà ad abbassarsi e forse a chiudersi. Per ora l'acqua scorre ancora e spesso bisogna anche bagnarsi per passare, ma continua. Alterna passaggi più bassi a tratti grandi e alti parecchi metri. Andiamo avanti cosi per circa un centinaio di metri risalendo verso monte paralleli alla lingua glaciale. La sua posizione deve essere rimasta molto stabile negli anni: infatti più che essere scavata nel ghiaccio appare scavata nel detrito di fondo e a volte solo un soffitto di ghiaccio ci sovrasta. Non è chiaro se siano più inquietanti i passaggi bassi: vere e proprie strettoie percorse dall'acqua, dove la volta di ghiaccio si è abbassata o è in parte collassata o i grandi ambienti con i loro soffitti carichi di blocchi di pietra incollati e blocchi di ghiaccio a terra. Alla terza strettoia decidiamo che non sia il caso di proseguire. Oltre si vede bene che la galleria torna grande, ma se uno di questi passaggi si abbassasse ancora, uscire potrebbe diventare un problema serio. Rileviamo tutto e torniamo nel tunnel principale da cui usciamo per tornare nuovamente nel grande anfiteatro. Queste due strutture erano praticamente parte di un unico sistema idrologico forse fino all'estate del 2021. A quel tempo infatti l'anfiteatro era ancora in via di collasso e rappresentava a tutti gli effetti una sorta di daylight che univa i due monconi. Quando pensiamo di aver finito il rilievo, ci accorgiamo di un altro imbocco che occhieggia a poche decine di metri da noi. L'altra volta stranamente non l'avevo notato, mentre oggi si vede bene una bella galleria. Anche lei drena un piccolo torrente proveniente dalla parete. Procediamo per una settantina di metri poi ci troviamo in una zona di grossi collassi. Il soffitto si sta sfaldando con i classici strati di ghiaccio a cipolla che tanta poca fiducia ispirano. L'acqua passa sotto, noi preferiamo passare sopra, cosi tra enormi lame di ghiaccio arriviamo ancora una volta nei pressi del terzo ingresso che avevamo raggiunto alcune ore prima. Con un altro anello chiuso questo rilievo dovrebbe venire abbastanza preciso! Questa zona in esterno si presenta fortemente deformata da crepacci circolari e anche dentro si vede bene. Sicuramente la prossima estate collasserà. Lo sviluppo spaziale rilevato supera gli 800 metri. Dopo una meritata pausa per pranzo, ci dirigiamo verso i possibili paleo-ingressi creati dall'Gepaschferner. Dalle immagini satellitari è evidente come la cascata si sia spostata nel corso degli anni creando più punti di ingresso. Queste forme si riconoscono ancora anche nelle immagini attuali quindi non resta che capire se le gallerie esistano ancora o se siano state riassorbite dal ghiacciaio. Dopo un paio di grandi ingressi che mostrano solo tracce ormai passate, un terzo sembra continuare. Una piccola galleria scende ripida verso il centro del ghiacciaio. Lei sembra essere rimasta aperta grazie ad un torrentello che scende dalla parete. Non è grande e man mano si trasforma in un tubo basso e largo, ma prosegue. Ne scendiamo oltre cinquanta metri percorsi da una forte corrente d'aria uscente. Si comporta da ingresso basso mentre dal fondo si avverte chiaramente il rumore di un torrente importante. La posizione è buona ed è molto probabile che il torrente sia lo stesso collettore che abbiamo risalito qualche ora fa, purtroppo tra tempo e soprattutto dimensioni decidiamo che anche in questo caso non sia furbo continuare a scendere. Usciamo e proseguiamo ad esplorare l'area sovrastante dove rapidamente individuiamo diversi mulini fossili. Continuando a risalire verso monte, diamo un occhiata ad alcuni frammenti di grandi gallerie endoglaciali ormai abbandonate e parecchio instabili, finché infine arriviamo sul tratto del ghiacciaio dove sono presenti i grandi mulini ancora attivi. Ne contiamo almeno cinque, di cui due attivi. Di grandi dimensioni tra i cinque e i dieci metri e profondi almeno una ventina di metri. Ormai è quasi notte e dall'alba che siamo in giro e purtroppo la mancanza di tempo non ci permette di scenderli. Le cose da fare e capire a Vallelunga sono ancora tante, però ora cominciamo a capirci qualcosa. In totale abbiamo rilevato quasi un chilometro lasciando diverse cose per mancanza di tempo. I mulini identificati sono una decina, tutti da scendere e ovviamente c'è ancora molto da perlustrare nelle zone di rock glacier. Tutto evolve maledettamente in fretta su questa lingua glaciale ed è difficile dire cosa troveremo la prossima volta. Di sicuro anche grazie alle moltissime foto realizzate da Stefan Plangger tra il 2018 ed il 2021 agli ingressi dei trafori e dei collassi (guida alpina e gestore del vicino rifugio Pio XI) è possibile provare a ricostruire l'evoluzione di una parte di questo sistema. Quello che resta che abbiamo rilevato può essere infatti messo in stretta relazione con l'evento del collasso del grande anfiteatro e intrecciando, immagini satellitari e foto che mostrano gallerie e morfologie, possiamo provare ad immaginare come si presentasse il sistema prima e durante il collasso. 

Anche sul fronte dell'ARD, i drenaggi acidi, abbiamo iniziato a fare un poco di misure sull'area. E' venuto fuori come tutta l'area frontale della lingua glaciale presenti numerosi apporti acidi con ph compreso tra 3 e 5. Gli stessi laghi presenti sono risultati acidi. Il torrente principale proveniente dal ghiacciaio presenta invece valori variabili dipendenti chiaramente dalla portata legate alle temperature nonché alla percentuale di acqua proveniente dai mulini rispetto a quella proveniente dalla cascata. Nel torrente principale abbiamo misurato valori leggermente acidi intorno a ph 6 ma le misure dovranno essere ripetute per sicurezza. All'interno delle gallerie del sistema degli Uomini cavi al contrario la maggiore presenza di sedimento ed il minor volume di acqua sembra favorire acque più acide che uscirebbero nell'anfiteatro con ph intorno a 5.7 anche in questo caso il dato va verificato con ulteriori misure da riprendere anche all'interno delle gallerie e nei piccoli bacini presenti nella grotta. Ovviamente ancora tutto da capire e valutare se questa presenza di acque acide e quindi produzione di acido solforico, sia in grado di influire in qualche modo sullo scioglimento del ghiacciaio (variazione del punto crioscopico della soluzione presente nei laghi subglaciali o apporto energetico della reazione esotermica).

Non sappiamo quanto potrà sopravvivere questo reticolo: sicuramente il tratto a monte della cascata Gepaschferner risulta più stabile ed una volta smantellato tutto il tratto a valle, la lingua glaciale potrebbe assestarsi su una relativa stabilità. La discesa dei mulini (meteo permettendo in programma a breve) potrà forse fornirci preziose informazioni. Dal punto di vista speleologico il quello di Vallelunga ci risulta essere attualmente il sistema glaciale noto e accessibile con il maggiore sviluppo presente sull'arco alpino, anche se è vero che i due monconi del sistema (svil. tot. >800 metri stiamo finendo di disegnare il rilievo) risultano ad oggi 'collegati' solo dalla morfologia dell'anfiteatro. Le grotte glaciali di maggiore sviluppo precedentemente note risultano essere la grotta 'Effimera' (587 metri rilevata >700 esplorata) ed il sistema 'Eclipse - Zamboni' (Circa 500 metri) entrambi sul ghiacciaio del Belvedere (Monte Rosa). Entrambe sono state esplorate quasi dieci anni fa e purtroppo lo scioglimento del ghiacciaio a reso entrambe non più accessibili, mentre altre grotte di contatto di grande sviluppo tutt'ora presenti sul Gorner e sull'Aletsch si attestano intorno ai 400-500 metri di sviluppo.


Hanno partecipato a questa survey tra rilievo, esplorazioni e foto: 

Andrea Benassi, Tommaso Biondi, Roberto Pettirossi, Daniele Sighel



La grande galleria dell'Athesinus Tunnel (foto Roberto Pettirossi)







Gallerie nel sistema degli uomini cavi (Foto Roberto Pettirossi)



Misure di ph dei numerosi drenaggi acidi presenti nei rock glacier



Uno dei grandi mulini nella parte alta del ghiacciaio



Grazie ad una corposa serie di fotografie realizzate tra il 2018 ed il 2021 dalla guida alpina Stefan Plangger è possibile provare a ricostruire l'evoluzione del fenomeno carsico in particolare il relazione al collasso del grande calderone. Come si vede bene fino al 2018 il ghiacciaio si presenta apparentemente in buona salute. Il servizio glaciologico dell'Alto Adige registra nei due anni precedenti un repentino abbassamento di circa 30 metri del volume nella lingua terminale. Nello stesso periodo le foto satellitari mostrano come la separazione con il Gepash Ferner sia ormai quasi completa e come in particolare il torrente-cascata proveniente dai suoi seracchi abbia ormai un corso libero lungo la parete di circa 1000 metri. Lungo questo percorso è fuori di dubbio che l'acqua di fusione uscente dai seracchi ha tempo di riscaldarsi durante la stagione estiva per convezione grazie allo scorrimento sulla parete. Il tempo di corrivazione si può stimare in 100-150 secondi da quando questa esce con una temperatura di fusione a prima che rientri nel ghiacciaio di Vallelunga. La parete è esposta a sud lungo l'asse E-O e durante le giornate estive riceve una forte insolazione capace di scaldare notevolmente il substrato roccioso. Nei due minuti circa in cui l'acqua scorre, la stessa è quindi in grado di scaldarsi di diversi gradi prima di rientrare. Questo gradiente termico moltiplica la sua capacità di fusione della massa glaciale. Dal 2018 appare evidente la formazione di una grande ellisse di collasso. Probabilmente lo spessore del ghiaccio è ormai inferiore ai 50 metri ed il suo comportamento da plastico e ormai statico. Dopo essersi rimodellato perdendo 30 metri di spessore principalmente per fusione dall'interno, ora la massa glaciale appare incapace di continuare a modellarsi. Da un lato dall'interno le acque di fusione continuano quindi ad allargare le gallerie che ormai restano probabilmente aperte anche in inverno. Questo allargamento delle strutture unitamente alla maggiore rigidità produce il definitivo collasso nell'estate del 2019. Dalla foto sono evidenti i monconi relitto di diverse gallerie sia endo che subglaciali, segno di strutture che sono sopravvissute all'inverno proprio a causa della limitatissima copertura di ghiaccio sovrastante. Il punto di collasso coincide con la confluenza tra il flusso subglaciale dal Gepash Ferner e quello sub ed endo glaciale dal corpo principale. Questa zona di confluenza appare sicuramente come un punto debole del sistema anche in relazione ai tempi di rigelo differente dei due flussi. E possibile che questa zona abbia funzionato anche come bacino di espansione e/o pistonaggio in relazione ai picchi di piena estivi con possibili spinte in risalità capaci di creare ulteriori allargamenti e anastomosi nei condotti fino a generare qualcosa di simile ad ampie volte strutturalmente instabili come si vede nelle foto seguenti. Il doppio collasso ellittico con i due centri che ancora si vedono separati da un breve ponte di ghiaccio ed una bassa galleria, sembrano potersi legare a due distinti sistemi di confluenza che ancora oggi possiamo identificare nei resti del sistema. Se quello a monte è infatti relativo alla confluenza tra torrente principale e flusso a monte, quello a valle è posizionato esattamente nel punto di confluenza tra le gallerie del sistema degli uomini cavi ed il flusso principale. Sempre nelle foto di agosto del 2021 si vede bene come la sezione delle gallerie verso monte sia modellata ancora unicamente dalla pressione idrostatica dell'acqua, mentre la morfologia del tratto verso valle che già costituisce un arco-traforo, si presenta completamente differente a tutto tondo e modellata a scallops dal flusso d'aria. 
A questo punto per provare a modellizzare fenomeni di collasso di questo genere, appare evidente la necessità di approfondire tramite una campagna di misure i molti parametri in gioco.



















Acid Rock Drainage





Alcuni dei molti drenaggi acidi che fuoriescono dai rock glacier. In questo caso il ph è di circa 3.3. Si notano i depositi di idrossidi metallici che si sedimentano sul limo anche sotto forma di pellicole e croste. Nell'acqua sono presenti abbondanti metalli tra cui ferro, rame, alluminio, cromo e piombo.







Le pareti di ghiaccio delle grotte, si presentano in molti punti coperte di sottili pellicole di 'fanghi limosi' sia secchi che umidi, sotto forma di chiazze o a macchia di leopardo. Questi depositi in alcuni casi sembrano provenire come inclusioni dal ghiaccio, ma in altri casi appaiono fortemente legati alla circolazione d'aria e probabilmente trasportati proprio da questa. In altri casi sono veicolati da piccole fratture presenti sulla struttura di ghiaccio e provengono quindi direttamente dai depositi che ricoprono il 'ghiacciaio nero'. Tra questi depositi abbondano, rocce e detriti fortemente mineralizzati, responsabili dei drenaggi acidi in esterno. In questo caso una abbondante pellicola di 'fanghi' sembra produrre sul ghiaccio una abbondante precipitazione di ossidi e idrossidi simili a quelli ben presenti in esterno. Questo abbondante deposito potrebbe rappresentare un interessante habitat per colonie di batteri estremofili legati all'ossidazione di solfuri metallici come gli Acidothiobacillus Ferrivorans e Thioxidans. Se questi batteri fossero effettivamente presenti, sarebbero in grado di accelerare la produzione di acido solforico di molti ordini di grandezza aumentando di gran lunga gli effetti negativi dei drenaggi acidi.