lunedì 5 agosto 2013

Ruina Montium



"Quello che accade a Las Medulas è molto più del lavoro di giganti. Le montagne sono perforate da corridoi e gallerie create a lume di lampada (…) Ed il monte rotto cade per se stesso, con grande strepito che non si potrebbe immaginare con mente humana e con grandissimo soffiamento. Ed essi vincitori stanno a guardare la ruina della natura”.  

Cosi Plinio inizia la descrizione della grande miniera d’oro che i romani coltivavano duemila anni fa in Spagna. Montagne fatte esplodere con la sola forza dell’acqua, chilometri di gallerie scavate a mano, basterebbero questi pochi tratti per capire quanto l’ingegneria mineraria antica fosse sviluppata e capace di modificare i territori in modo del tutto comparabile con l’odierna industria mineraria. Quello che resta oggi del grande altopiano di Las Medulas, è un paesaggio che sebbene in apparenza possa sembrare ‘naturale’ è in tutto e per tutto post-minerario, un ibrido umano-naturale, testimonianza unica e potente: miraggio fatto d’oro e follia, ma anche di lavoro, economia, ingegno tecnico e singole vite. Quello che resta oggi  è un luogo, proprio per questo intreccio d’umano e non-umano, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità; un monumento capace di parlare a tutti e non soltanto a specialisti ed accademici, proprio perché racconta una storia dove l’uomo, nella sua lotta esistenziale, è uno dei protagonisti principali. Della Vena del Gesso, fino a pochi anni fa, si narrava che fosse il regno ed il prodotto incontrastato della ‘natura’, ovvero del contrario dell’umano. Un luogo giunto a noi immutato dalla notte dei tempi, quasi si trattasse di un isola fuori dalla storia e dalla spazio. Forse le cose non stanno proprio in questi termini. Per ottenere dalla montagna quello strano cristallo dai molti nomi, selenite,  pietra di luna, specchio d’asino, forse non c’è stato bisogno di far esplodere le montagne, forse, ma è sicuro che non ci si è andati così leggeri neanche qui. Quello  che le ultime ricerche portano a pensare, è che l’intera vena abbia subito notevoli mutamenti nei secoli in cui è stata oggetto di lavoro. Non solo quindi grotte semi-naturali, miniere sotterranee scavate a partire da grotte naturali o completamente ex-novo, ma coltivazione ed estrazione sulle stesse pareti esterne, tanto da modificarne in parte l’aspetto. Le ricerche nel territorio di Casola, sembrano confermare che in molti punti delle grandi pareti del versante sud, prima della coltivazione, potessero esserci ed affiorare dalle fratture, grandi incrostazioni di cristalli, sistematicamente raggiunte ed estratte. Forse potremmo immaginare che molte zone delle nostre colline nel passato brillassero veramente al sole come enormi specchi. Camminando e calandosi tra le grandi pareti a precipizio, alla ricerca di piccole tracce sopravvissute al tempo, tra querce stentate e caproni inselvatichiti, si ha la strana impressione di percorrere un cammino tra brandelli di storie e di uomini. Un frammento di sentiero, uno scalino, l’impronta di uno  scalpello su una parete,  urlano la loro presenza, urlano che la Storia fatta dagli uomini ha cavalcato anche attraverso queste pareti ed in parte le ha costruite. Questo è lo spirito di Las Medulas, questo è lo spirito di ogni luogo che aspiri a diventare un monumento.

Società Speleologica Saknussem