"Quello
che accade a Las Medulas è molto più del lavoro di giganti. Le montagne sono
perforate da corridoi e gallerie create a lume di lampada (…) Ed il monte rotto
cade per se stesso, con grande strepito che non si potrebbe immaginare con
mente humana e con grandissimo soffiamento. Ed essi vincitori stanno a guardare
la ruina della natura”.
Cosi
Plinio inizia la descrizione della grande miniera d’oro che i romani
coltivavano duemila anni fa in Spagna. Montagne fatte esplodere con la sola
forza dell’acqua, chilometri di gallerie scavate a mano, basterebbero questi
pochi tratti per capire quanto l’ingegneria mineraria antica fosse sviluppata e
capace di modificare i territori in modo del tutto comparabile con l’odierna
industria mineraria. Quello che resta oggi del grande altopiano di Las Medulas,
è un paesaggio che sebbene in apparenza possa sembrare ‘naturale’ è in tutto e
per tutto post-minerario, un ibrido umano-naturale, testimonianza unica e
potente: miraggio fatto d’oro e follia, ma anche di lavoro, economia, ingegno
tecnico e singole vite. Quello che resta oggi è un luogo, proprio per questo intreccio
d’umano e non-umano, dichiarato dall’Unesco patrimonio dell’umanità; un
monumento capace di parlare a tutti e non soltanto a specialisti ed accademici,
proprio perché racconta una storia dove l’uomo, nella sua lotta esistenziale, è
uno dei protagonisti principali. Della Vena del Gesso, fino a pochi anni fa, si
narrava che fosse il regno ed il prodotto incontrastato della ‘natura’, ovvero
del contrario dell’umano. Un luogo giunto a noi immutato dalla notte dei tempi,
quasi si trattasse di un isola fuori dalla storia e dalla spazio. Forse le cose
non stanno proprio in questi termini. Per ottenere dalla montagna quello strano
cristallo dai molti nomi, selenite, pietra di luna, specchio d’asino, forse non
c’è stato bisogno di far esplodere le montagne, forse, ma è sicuro che non ci
si è andati così leggeri neanche qui. Quello
che le ultime ricerche portano a pensare, è che l’intera vena abbia
subito notevoli mutamenti nei secoli in cui è stata oggetto di lavoro. Non solo
quindi grotte semi-naturali, miniere sotterranee scavate a partire da grotte
naturali o completamente ex-novo, ma coltivazione ed estrazione sulle stesse
pareti esterne, tanto da modificarne in parte l’aspetto. Le ricerche nel
territorio di Casola, sembrano confermare che in molti punti delle grandi
pareti del versante sud, prima della coltivazione, potessero esserci ed
affiorare dalle fratture, grandi incrostazioni di cristalli, sistematicamente
raggiunte ed estratte. Forse potremmo immaginare che molte zone delle nostre
colline nel passato brillassero veramente al sole come enormi specchi.
Camminando e calandosi tra le grandi pareti a precipizio, alla ricerca di
piccole tracce sopravvissute al tempo, tra querce stentate e caproni
inselvatichiti, si ha la strana impressione di percorrere un cammino tra
brandelli di storie e di uomini. Un frammento di sentiero, uno scalino,
l’impronta di uno scalpello su una
parete, urlano la loro presenza, urlano
che la Storia fatta dagli uomini ha cavalcato anche attraverso queste pareti ed
in parte le ha costruite. Questo è lo spirito di Las Medulas, questo è lo
spirito di ogni luogo che aspiri a diventare un monumento.
Società Speleologica Saknussem