Girando
per le nostre colline, tra gessi e calanchi, è facile imbattersi, anche in
luoghi apparentemente sperduti e non frequentati, in tracce della presenza
umana. Tracce a volte difficili da cogliere a prima vista, segni leggeri, spesso
antichi, a volte misteriosi, come nel caso del grande masso di arenaria nell’ex
Parco Carnè presso Brisighella.
Su una delle
collinette attorno a Cà Carnè, nel bel mezzo di quella che appare una area
omogenea di gesso, il contatto con un affioramento di calcari detti a lucina,
fa comparire anche un buffo masso di arenaria, posto praticamente sulla
sommità. Ma l’interesse del luogo non è tanto nei capricci della geologia,
quanto nella presenza sul masso di almeno una dozzina di coppelle. La coppella si può dire che sia il più semplice ed
il più diffuso dei petroglifi, ovvero delle incisioni realizzate
volontariamente dall’uomo sulla pietra. Si tratta di un incavo tondeggiante,
emisferico, come una piccola ciotola, generalmente del diametro di pochi
centimetri, ricavato dall'uomo sulla superficie di basi rocciose, affioramenti
o massi isolati, chiamati per l'appunto massi
cupellari o pietre a scodella.
Luoghi posti spesso in posizione dominante e panoramica, proprio come il
nostro masso. A differenza di gesso e calcare, l’arenaria sebbene si modelli,
non si scioglie con l’acqua, ed
eventuali segni artificiali realizzati
sulla sua superficie tendono a conservarsi. I petroglifi sono una brutta bestia
da datare, interpretare e generalmente capire. A volte risulta già un impresa
capire se si tratti di segni lasciati dall’uomo o frutto di modellamento
naturale, in particolare proprio quando ci si trova ad avere a che fare con
rocce solubili. Il luogo ideale per le incisioni, sono le grandi bancate di
graniti e gneiss, e non a caso le principali concentrazioni di queste
incisioni, si trovano nell’area alpina. Ma anche l’arenaria da qualche garanzia
quando ci si trovi di fronte a numerose forme anomale come nel caso delle
coppelle. In appennino, in particolare nella parte toscana, su rocce di questo
tipo sono stati identificati numerosi siti con varie tipologie d’incisione. Altro
problema ovviamente è definire a che orizzonte storico riferire una coppella, e
qui il silenzio è la cosa migliore. In molti si gettano rapidamente
sull’interpretazione preistorica, ma esistono numerosi siti con incisioni
realizzate in tempi contemporanei, da pastori e viandanti lungo strade o punti
particolarmente significativi. Ma torniamo al nostro sasso, che ad oggi sarebbe
una cosa più unica che rara, visto che da queste parti di petroglifi e
incisioni, per ora non se ne trovano, ma neanche se ne cercano. Come dicevo il
masso presenta almeno una dozzina di coppelle, alcune appena visibili, altre
ben marcate e profonde, dal diametro variabile da due a cinque sei centimetri,
di profondità anch’essa variabile, e di forma a volte cilindrica e volte conica
terminati a punta. Sebbene non si tratti di roccia particolarmente dura,
l’impressione è che possano essere stati realizzati mediante uno strumento di
metallo, ma siamo chiaramente nell’ambito delle impressioni. Non sembra
trattarsi di buche di palo o altre incisioni utili ad alloggiare strutture, sia
per la dimensione, che per la posizione in cui si trovano. Il masso in se
invece oltre alla posizione dominante e alla particolarità di emergere come
roccia diversa da quelle circostanti, si presenta quasi in forma di sedile.
Molto difficile dire se abbia subito una qualche forma di adattamento,
personalmente non credo, ma è un fatto che ad oggi è possibile usarlo come un
sedile che appare comodo e quasi sagomato. A completare le tracce presenti
sulla roccia, su quello che appare essere lo schienale, si leggono a malapena
almeno due lettere: forse una G e una U. Sempre incise, con un tratto ad oggi
molto leggero, appena visibile e all’apparenza più recenti rispetto alle
coppelle. Questo per quanto riguarda il masso, ma lo stesso non si trova in un
punto qualsiasi, bensì a non più di quattro cinque metri dall’ingresso di
quello che è chiamato l’Abisso Carnè. La grotta, una delle numerose presenti
nella zona, si apre con un grande imbocco che immette direttamente in un pozzo
di una ventina di metri presentandosi abbastanza maestosa. Frequentata
speleologicamente dal 1956, la grotta era però conosciuta da sempre dagli
abitanti delle case vicino, come ci raccontano le stesse relazioni esplorative,
che testimoniarono anche il ritrovamento di alcune bombe della seconda guerra
mondiale. Sempre a seguito della frequentazione speleologica, nella grotta
vennero trovati, oltre ai resti di molti animali, anche quelli di almeno due
esseri umani, a cui non si riuscì a dare nessuna datazione per mancanza di
vestiti o altri riferimenti che potessero fornire un quadro certo. Cosa possano
entrarci le coppelle con tutto questo non è dato di saperlo, ma appare evidente
che il luogo abbia goduto nel tempo di una certa frequentazione. Posto a
cavaliere tra i fondi di alcune grandi doline, coltivate fino a tempi recenti,
in un paesaggio probabilmente spoglio dalla vegetazione, il luogo era
sicuramente un punto significativo, dove il masso emergeva ben più evidente che
ora. Come punto di sosta, osservazione o
semplice passaggio, le incisioni potrebbero essere state realizzate da qualche
contadino del luogo come semplice passatempo, durante la guerra oppure nel mentre dei lavori di
rimboschimento che hanno interessato il cucuzzolo. Eppure le incisioni sono
qualcosa di strano: quando un luogo diventa uno spazio significativo, sembra
essere in grado di trasmettere una certa continuità, e così non è strano
trovare nei medesimi siti di petroglifi,
incisioni riferibili all’età del bronzo, accanto a segni ed incisioni fatte da
pastori appena pochi anni prima. Per ora verità e storia restano avvolte tra
fantasia e suggestione, facendo però in ogni caso del masso del Carnè un luogo
strano, imbevuto di un pizzico di mistero e sicuramente capace di creare e
raccontare più di una storia.
Andrea
Benassi