mercoledì 12 marzo 2014

Il misterioso masso delle coppelle



Girando per le nostre colline, tra gessi e calanchi, è facile imbattersi, anche in luoghi apparentemente sperduti e non frequentati, in tracce della presenza umana. Tracce a volte difficili da cogliere a prima vista, segni leggeri, spesso antichi, a volte misteriosi, come nel caso del grande masso di arenaria nell’ex Parco Carnè presso Brisighella.

Su una delle collinette attorno a Cà Carnè, nel bel mezzo di quella che appare una area omogenea di gesso, il contatto con un affioramento di calcari detti a lucina, fa comparire anche un buffo masso di arenaria, posto praticamente sulla sommità. Ma l’interesse del luogo non è tanto nei capricci della geologia, quanto nella presenza sul masso di almeno una dozzina di coppelle. La coppella si può dire che sia il più semplice ed il più diffuso dei petroglifi, ovvero delle incisioni realizzate volontariamente dall’uomo sulla pietra.  Si tratta di un incavo tondeggiante, emisferico, come una piccola ciotola, generalmente del diametro di pochi centimetri, ricavato dall'uomo sulla superficie di basi rocciose, affioramenti o massi isolati, chiamati per l'appunto massi cupellari o pietre a scodella. Luoghi posti spesso in posizione dominante e panoramica, proprio come il nostro masso. A differenza di gesso e calcare, l’arenaria sebbene si modelli, non si scioglie  con l’acqua, ed eventuali segni  artificiali realizzati sulla sua superficie tendono a conservarsi. I petroglifi sono una brutta bestia da datare, interpretare e generalmente capire. A volte risulta già un impresa capire se si tratti di segni lasciati dall’uomo o frutto di modellamento naturale, in particolare proprio quando ci si trova ad avere a che fare con rocce solubili. Il luogo ideale per le incisioni, sono le grandi bancate di graniti e gneiss, e non a caso le principali concentrazioni di queste incisioni, si trovano nell’area alpina. Ma anche l’arenaria da qualche garanzia quando ci si trovi di fronte a numerose forme anomale come nel caso delle coppelle. In appennino, in particolare nella parte toscana, su rocce di questo tipo sono stati identificati numerosi siti con varie tipologie d’incisione. Altro problema ovviamente è definire a che orizzonte storico riferire una coppella, e qui il silenzio è la cosa migliore. In molti si gettano rapidamente sull’interpretazione preistorica, ma esistono numerosi siti con incisioni realizzate in tempi contemporanei, da pastori e viandanti lungo strade o punti particolarmente significativi. Ma torniamo al nostro sasso, che ad oggi sarebbe una cosa più unica che rara, visto che da queste parti di petroglifi e incisioni, per ora non se ne trovano, ma neanche se ne cercano. Come dicevo il masso presenta almeno una dozzina di coppelle, alcune appena visibili, altre ben marcate e profonde, dal diametro variabile da due a cinque sei centimetri, di profondità anch’essa variabile, e di forma a volte cilindrica e volte conica terminati a punta. Sebbene non si tratti di roccia particolarmente dura, l’impressione è che possano essere stati realizzati mediante uno strumento di metallo, ma siamo chiaramente nell’ambito delle impressioni. Non sembra trattarsi di buche di palo o altre incisioni utili ad alloggiare strutture, sia per la dimensione, che per la posizione in cui si trovano. Il masso in se invece oltre alla posizione dominante e alla particolarità di emergere come roccia diversa da quelle circostanti, si presenta quasi in forma di sedile. Molto difficile dire se abbia subito una qualche forma di adattamento, personalmente non credo, ma è un fatto che ad oggi è possibile usarlo come un sedile che appare comodo e quasi sagomato. A completare le tracce presenti sulla roccia, su quello che appare essere lo schienale, si leggono a malapena almeno due lettere: forse una G e una U. Sempre incise, con un tratto ad oggi molto leggero, appena visibile e all’apparenza più recenti rispetto alle coppelle. Questo per quanto riguarda il masso, ma lo stesso non si trova in un punto qualsiasi, bensì a non più di quattro cinque metri dall’ingresso di quello che è chiamato l’Abisso Carnè. La grotta, una delle numerose presenti nella zona, si apre con un grande imbocco che immette direttamente in un pozzo di una ventina di metri presentandosi abbastanza maestosa. Frequentata speleologicamente dal 1956, la grotta era però conosciuta da sempre dagli abitanti delle case vicino, come ci raccontano le stesse relazioni esplorative, che testimoniarono anche il ritrovamento di alcune bombe della seconda guerra mondiale. Sempre a seguito della frequentazione speleologica, nella grotta vennero trovati, oltre ai resti di molti animali, anche quelli di almeno due esseri umani, a cui non si riuscì a dare nessuna datazione per mancanza di vestiti o altri riferimenti che potessero fornire un quadro certo. Cosa possano entrarci le coppelle con tutto questo non è dato di saperlo, ma appare evidente che il luogo abbia goduto nel tempo di una certa frequentazione. Posto a cavaliere tra i fondi di alcune grandi doline, coltivate fino a tempi recenti, in un paesaggio probabilmente spoglio dalla vegetazione, il luogo era sicuramente un punto significativo, dove il masso emergeva ben più evidente che ora.  Come punto di sosta, osservazione o semplice passaggio, le incisioni potrebbero essere state realizzate da qualche contadino del luogo come semplice passatempo, durante la guerra  oppure nel mentre dei lavori di rimboschimento che hanno interessato il cucuzzolo. Eppure le incisioni sono qualcosa di strano: quando un luogo diventa uno spazio significativo, sembra essere in grado di trasmettere una certa continuità, e così non è strano trovare nei medesimi siti  di petroglifi, incisioni riferibili all’età del bronzo, accanto a segni ed incisioni fatte da pastori appena pochi anni prima. Per ora verità e storia restano avvolte tra fantasia e suggestione, facendo però in ogni caso del masso del Carnè un luogo strano, imbevuto di un pizzico di mistero e sicuramente capace di creare e raccontare più di una storia. 

Andrea Benassi