mercoledì 8 maggio 2024

Il sale della Terra: grotte nei diapiri salini di Zinga

 Nel contesto delle rocce evaporitiche, l'halite, volgarmente conosciuta come salgemma è una roccia dove i fenomeni carsici si sviluppano con una rapidità di diversi ordini di grandezza superiore a quella a cui siamo abituati. La sua estrema solubilità, (fino a circa 360 grammi per litro di acqua!) rende però questi fenomeni praticamente quasi confinati nei climi aridi. C'è inoltre da considerare che sebbene banchi di halite siano presenti in grandissima quantità nelle crosta terrestre, nella maggior parte dei casi, non affiorano, ma si trovano sepolti anche chilometri sotto la superfice. Tutto questo rende le grotte nel sale un fenomeno abbastanza raro e poco comune. Senza entrare nei dettagli dei meccanismi affascinanti e complessi che regolano l'halokinesis (ovvero il movimento e galleggiamento viscoso delle masse saline nel sottosuolo), basti sapere che per nostra fortuna al sale piace spesso risalire in superfice, principalmente sotto forma di estrusioni: ovvero grandi domi o colonne saline, meglio noti come diapiri salini. Ecco cosi che in giro per il mondo troviamo una discreta quantità di questi diapiri come isole di sale delle dimensioni più varie. Alcuni interessati ancora da una spinta capace di generare delle vere e proprie 'fontane' e ghiacciai di sale che fluiscono lentamente, come i Namakier in Iran, altri oramai immobili. Troviamo grotte di sale in Israele, in Iran, in Algeria, nel deserto cileno di Atacama cosi come in quello del Tagikistan. In alcuni rari casi, grazie ad un pò di fortuna e ad un buon caprock, ovvero uno strato capace di proteggere il sale da una dissoluzione troppo rapida, troviamo fenomeni carsici di questo tipo anche in climi non propriamente desertici. In Europa per esempio troviamo importanti grotte nell'halite nel diapiro di Cardona in Spagna e in diversi affioramenti in Romania, tra cui il più importante noto come il Meledic Plateau. Rispetto al territorio italiano, nell'ambito della crisi di salinità del Messiniano, oltre alla sequenza di banchi gessosi, come ben noto si sono generati anche potenti banchi di halite. Banchi che purtroppo giacciono sepolti in profondità e infatti raggiunti in diversi casi solo dall'attività mineraria. Abbiamo però una fortunata eccezione in Calabria, nel bacino del Crotonese, dove nel contesto della nota serie evaporitica, troviamo diversi piccoli diapiri salini che affiorano in superfice. Principalmente nel territorio del comune di Casabona. La presenza di questi diapiri è nota in bibligrafia almeno dagli anni '60, nonché citata in diversi lavori sul carsismo nei gessi. Di recente alcune ricerche, hanno inoltre affrontato la caratterizzazione delle diverse facies presenti, nonché lo studio delle inclusioni fluide nei cristalli per ricostruirne le condizioni paleoclimatiche di origine. Nel contesto del patrimonio geologico nazionale si tratta di un caso praticamente unico e infatti l'area ha ottenuto negli ultimi anni, una certa visibilità come geosito e meta di turismo geologico. 







Dal punto di vista speleologico al contrario, in bibliografia non risulta documenta l'esistenza di grotte in queste formazioni. Con queste premesse, la scorsa settimana siamo andati a dare un occhiata direttamente sul posto per capire le potenzialità dell'area.

 



La nostra brevissima ricerca si è concentrata sui quattro principali punti dove affiora la matrice salina: in parte protetta da un sottile caprock breccioso e in parte sovrastata da argille. Qui abbiamo documentato l'esistenza di almeno sei grotte tra pozzi, risorgenze e inghiottitoi che si sviluppano nell'halite (in alcuni casi i fenomeni iniziano come grotte e collassi di soffusione nella matrice argillosa e quindi raggiungono lo strato salino) per un totale di circa 200 metri di sviluppo. La più lunga misura circa 70 metri e rappresenta la parte attualmente accessibile di un piccolo traforo idrogeologico saltuariamente attivo.

 Allo stato attuale delle conoscenze, questo risulta sicuramente il fenomeno più importante presente. Localmente noto come Grotte di Mandria Vecchia, dalle testimonianze raccolte è risultato conosciuto dagli abitanti di Zinga da un ingresso all'altro, da almeno 60-70 anni e percorso occasionalmente almeno fino a 15-20 anni fa, quando alcune frane lo hanno reso di difficile accesso.  Nei climi non desertici, le grotte nel sale evolvono molto rapidamente e la presenza dei depositi argillosi modifica facilmente la loro percorribilità. Proprio in questa prospettiva nei vari diapiri, ci sono diverse zone che secondo noi presentano ulteriori potenzialità esplorative. 

La solubilità del sale, rende gli speleotemi di halite, qualcosa di molto effimero e mutevole ma anche affascinante nelle forme e tipologie. Accanto a stalattiti, croste, rim, raft e tante altre forme microcristalline, nelle grotte esplorate, fanno così bella mostra anche diversi speleotemi macrocristallini a base di cristalli cubici di halite tra cui tutta una serie di stalattiti composte da una sequenza di cristalli scheletrici ed euedrali.







Vista l'estensione dei diapiri, dal punto di vista esplorativo è difficile immaginare la presenza di grandi sistemi ipogei. Allo stesso tempo, la documentazione di queste grotte, anche se di limitata estensione, aggiunge senza dubbio valore al contesto e alla sua unicità sul territorio nazionale.

 Si possono inoltre  immaginare anche interessanti ricerche e monitoraggi proprio sull'evoluzione nel tempo di questi fenomeni. Tanto il ciclo degli speleotemi, quanto l'evoluzione morfologica di questi piccoli sistemi, si prestano bene a diventare modelli da studiare.

 Ovviamente torneremo ancora sui diapiri di Zinga, magari anche in compagnia di chi sia interessato a documentare una speleologia sicuramente diversa dall'0rdinario! 


Andrea Benassi, Roberto Pettirossi, Mauro Masci











Bibliografia


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