In partenza per le montagne dell'Atlante...
prima tappa il Jbel Tadaghast, un bel panettone di 2800 metri.
lunedì 29 dicembre 2014
venerdì 31 ottobre 2014
Neschen_piccoli abissi in terra albanese
Altro che disostruzione e scavi, chi dice che le grotte aperte non si trovano più dovrebbe dare un occhiata alla foto aerea a destra. In basso un bel corso d'acqua temporaneo, in alto un campo di patate, al centro un punto nero. E' così che si apre l'abisso Neschen, e questa volta non siamo neanche nelle lontane terre tropicali, ma semplicemente nella comoda e vicina Albania. E visto che se le cose si devono fare è meglio farle bene, il primo pozzo è decisamente un signor pozzo, in pratica un 200 largo più del primo pozzo della Preta, uno di quei posti il cui fondo si vede bene dall'ingresso e che mentre lo scendi ti lascia perplesso a domandarti se hai mai sofferto di vertigini o agorafobia. Un pozzo veramente bello con un unico difetto... la presenza di un pastore che aveva deciso di giocare al piccolo Polifemo, sassandoci dentro qualsiasi cosa si trovasse tra le mani, con il preciso intento di terrorizzarci, cosa del resto perfettamente riuscita. E' sempre bello sentire il fischio di qualcosa che ti corre vicino lungo 200 metri di vuoto. Escluso questo disguido, Neschen è praticamente una grotta tropicale, fatta di pozzi ed enormi gallerie, che nonostante la bassa quota a cui si apre, circa 900 metri, scende decisa scivolando sotto il contatto con l'impermeabile e portandosi dietro una buona parte delle acque raccolte nella grande piana di Machukul. Un posto da piene violente come dimostrano tanto i grandi scallops, quanto i detriti di ogni forma e dimensione incastrati ovunque sul tetto delle gallerie. Un posto da non lasciare armato durante l'inverno. Il sifone di fondo a -450 circa è probabilmentente poggiato sulla falda, ma in quanto a rami e diramazioni il gioco non è finito. In tutti i casi con i suoi circa due chilometri di sviluppo fa decisamente la sua figura nel panorama della speleologia albanese per ora ancora avara di grandi sistemi. Visto il buon inizio noi non si demorde, l'appuntamento è per la prossima estate, sulla montagna infatti sono tanti piccoli abissi lasciati in caldo a fermentare...
(Partecipanti all'ultima spedizione agosto-settembre A.Gobetti, Giuliana, Thomas e Tommy, Teto, Marantonio e Paolone, più il sottoscritto, una bella macedonia di gente)
BB30 -610 (Bulgari)
RU
-550 (Bulgari)
Uomini umidi-520(Italia)
Cilikokova -505 (Bulgaria)
Neschen -450 (Italia)
Madha
Ben -380 (Inglesi)
Shella Majes +370(Bulgari)
Le gallerie verso il fondo |
Uno dei laghi sul ramo oltre il fondo |
Grandi depositi di ghiaia quarzitica provenienti da regioni di contatto con l'impermeabile |
domenica 19 ottobre 2014
Albania_2014_Mali_Deje
venerdì 17 ottobre 2014
Vecchie storie Marocchine...
Jebel Ayachi 1995_Ingresso di quella che diventerà | la grotta Aisha |
Sono passati ormai 20 anni dalla prima volta che andai a cercare grotte in Marocco. Quella volta insieme agli amici dello Speleo Club Roma e del vecchio gruppo di Grottaferrata eravamo partiti in macchina da Roma, con il fuoristrada del grande Sbardy. Passammo un mese a girare tra montagne e deserti finchè c'innamorammo di una montagna dell'Atlante orientale, il Jebel Ayachi. Alto oltre 3700 metri, circondato di valli e contrafforti era una presenza imponente. Attorno in ogni valle una piccola oasi. In una di queste a Zaouia Sidi Hamza, l'inventario speleologico del Marocco riportava una risorgenza e altri ingressi. Fu amore a prima vista. La risorgenza si rivelò un grande fiume che usciva dal fianco del Jebel Maoutfoud, i vari ingressi divennero rapidamente parte dell'unica grotta di Tazrouft che al suo interno nascondeva laghi e grandi gallerie invase di sabbia. Tornai anche l'anno successivo in compagnia di Valerio, una spedizione da due! Ma la grotta continuava alla grande e non si poteva aspettare. Alla fine ne venne fuori una bella risorgenza da circa un chilometro. (Speleologia n°47, pp.58-66). Poi negli anni che seguirono c'innamorammo dei tropici e delle loro grotte giganti nascoste nella foresta. Per le montagne e i deserti del Marocco presero a girare gli amici del gruppo Dauno scoprendo come si possano trovare grotte in luoghi dove l'acqua è solo un ricordo lontano. Sono passati tanti anni ed il caldo asciutto del deserto comincia ad avere un suo fascino, magari un bel carso d'alta quota, con grotte non troppo bagnate e poco fredde, perchè no. A volte penso con nostalgia alla grotta di Tazrouft e al suo sifone inesplorato. Le grotte sono strane, e forse questa non ha voglia di restare sola troppo a lungo, tanto che nel frattempo è stata oggetto di una inaspetta e inconsapevole parziale (ri)esplorazione nel 2000 da parte degli amici Imperiesi che forse non hanno visto il grande traverso ancora armato... In tutti i casi la grotta aspetta ancora qualcuno che abbia voglia di farsi una meravigliosa immersione nel suo sifone terminale. Il lago di Lochness è sempre li enorme e azzurro, quasi un miraggio underground sospeso a 1800 metri di quota nel cuore della montagna.
giovedì 16 ottobre 2014
martedì 14 ottobre 2014
Marocco_Haut Atlas 2015
"(...)Atlante, nemico dei Numi, che tutti sa del mare gli abissi, che regge i pilastri alti, che l'un dall'altro dividono il cielo e la terra."
Odisssea, Libro I
Il 30 dicembre partirà una prima pre-spedizione diretta nell'Alto Atlante del Marocco. La spedizione avrà come obiettivo alcune zone carsificate in alta quota tra i 2700 ed i 3700 nel Jebel Ghat e nel Jebel Tadaghast. Prossimamente maggiori informazioni.
sabato 10 maggio 2014
Il ritorno di Tiberio
Antro di Tiberio presso Sperlonga_Museo Nazionale |
Tra pochi giorni, sabato
10 maggio, saranno inaugurati i lunghi lavori di sistemazione ed
allestimento della Grotta del Re Tiberio a Borgo Rivola. Un luogo che
dopo molti anni tornerà quindi ad essere uno spazio accessibile, parte
importante del patrimonio e della storia della valle del Senio.
L'importanza della grotta del Re Tiberio, nella sua vita plurisecolare
si è affermata principalmente in relazione alle ricerche che vi sono
stati svolti agli albori delle scienze geologiche e dell'archeologia
stratigrafica, facendo del luogo un caso di studio nazionale. Ben
diversa è stata al contrario la sorte della narrazione che identifica la
grotta stessa. Quella storia resistente e mutevole che da sempra ha
identificato il luogo come la residenza del Re Tiberio, fuggito da Roma
alla ricerca di un luogo sicuro dove poter scappare ai fulmini.
Testimoniata per iscritto già negli anni a cavallo tra il '700 e '800,
la storia ha da sempre incuriosito gli eruditi e gli aspiranti
ricercatori, intenti a decostruirla a cercarne giustificazioni che
potessero giustificare l'apparente assurdità di un Re che abita in una
grotta. In questo clima d'incredulità, alla ricerca di qualcosa che
spiegasse la presenza di quel toponimo, di quel nome Tiberio legato ad
una grotta, sono state formulate molteplici ipotesi, tutte capaci
d'allontanare la vecchia leggenda dall'antico imperatore Romano, fino
all'idea che anche la stessa parola 'Re' altro non sia che la corruzione
del termine dialettale per indicare 'Rio'. Inseguendo queste
interpretazioni, negli anni il fantastico regno di Tiberio è diventato
quindi il luogo di un equivoco, dove la narrazione era solo una favola
assurda, una piccola storia narrata in un piccolo paese.
Eppure forse le cose non sono proprio cosi lineari e forse l'antica favola
di Tiberio e della sua fuga dai fulmini, non è propriamente una piccola
storia. La grotta di Borgo Rivola non è infatti l'unico luogo in Italia
dedicato a Tiberio. Proprio partendo dai nostri gessi è facile trovare
già a Tossignano un altra piccola grotta dedicata all'imperatore, e
continuando nella valle del Santerno anche a Firenzuola lo scrittore
Tito Casini registra all'inizio del secolo scorso un omonimo luogo
anch'esso provvisto di una leggenda simile. Ma se per questi due casi si
potrebbe pensare ad una facile e recende diffusione della storia, le
cose si complicano quando troviamo gole e orridi dedicati a Tiberio
tanto in Sicilia quanto in Lombardia.
La figura dell’imperatore Tiberio Giulio Cesare Augusto, (42 a.C. 37 d.C.) appare essere infatti un topos
letterario particolare, in grado di incarnarsi nello spazio e nel
paesaggio, al pari di altri personaggi come Pilato, Orlando, la Sibilla
ecc. Contrariamente ai tentativi di spiegare la presenza di un tale
toponimo come degenerazione da altri significati, per esempio
l’appellativo Re come degenerazione dialettale della parola
rio, l’esistenza di una grotta di Tiberio non appare infatti un qualcosa
d’isolato e inspiegabile. La figura di Tiberio compare nella
storiografia antica attraverso numerosi autori, ma è grazie alle opere
di Tacito e di Svetonio, che ne emerge una figura particolare e dai
tratti malefici. I due autori costruiscono sul personaggio un aura
negativa, quasi diabolica. Gli creano l’immagine di amante degli
indovini, personaggio maledetto, che fugge da Roma alla ricerca di spazi
d’alterità, per paura delle vendette legate al suo essere sanguinario.
Narrato come colui che ha messo fine al secolo d’oro di Saturno per
trascinare l’umanità nell’età del ferro, ci viene raccontato dagli
stessi come sempre in cerca di spazi solitari dove potersi dedicare ai
vizi. I due autori ne descrivono anche l’aspetto esteriore ripugnante
come effetto delle sue azioni e della sua libidine sfrenata: « C'era
anche chi credeva che nella vecchiezza del corpo [Tiberio] si
vergognasse del suo aspetto: era infatti di alta statura, curvo ed
esilissimo, calvo; il suo volto, ricoperto di pustole, era il più delle
volte cosparso di medicamenti. » (Tacito, Annales, IV, 57.)
Descritto come crudele e dedito ai vizi, appare allo stesso tempo anche
nella storiografia cristiana, citato come riferimento storico nel
vangelo ma anche in associazione con Pilato nella Leggenda Aurea. Ma la
creazione e la nascita di una specifica grotta di Tiberio, come topos
letterario in grado di inscriversi nel territorio reale, è da ricercare
sempre in un passo degli Annali di Tacito, dove nel libro IV capo 59,
durante il viaggio verso il suo ritiro presso Capri, si narra di un
episodio in cui l’imperatore rischiò la vita proprio durante una sosta
presso una sua villa denominata Spelonca fra il mare ed i monti
di Fondi. Tacito descrive infatti come mentre l’imperatore sostasse
dentro una grotta naturale allestita con servi e banchetti, si trova a
rischiare la vita a seguito del crollo di alcuni massi. L'episodio
narrato dagli storici e la grande grotta aperta sul mare e allestita
come un sontuoso palazzo, appare quindi forse origine tanto del nome
della cittadina Sperlonga,
quanto del mito della grotta di Tiberio come luogo dove lo strano
imperatore decide di ritirarsi con la sua paura dei fulmine e la sua
fede negli indovini e nel fato che non può essere cambiato. Ma non è
solo l’aspetto della grotta ad essere ben presente nei classici, anche
l’elemento del fulmine, vero centro della leggenda, appare un nodo ben
presente nelle narrazioni legate al mondo romano. Proprio sulla paura
dei fulmini si dilunga Svetonio nella Vita dei Cesari, dove
abbonda di particolari su imperatori sfuggiti alla saetta, o
terrorizzati dai tuoni, mentre nel caso specifico di Tiberio, ci narra
come l’imperatore: "Quanto a cose di religione era molto incurante,
dedito qual' era all'astrologia e convinto che tutto fosse mosso dal
fato. Aveva però un'eccessiva paura dei tuoni e, quando il cielo era
scuro, non rinunciò mai a portare la corona d'alloro, poiché si dice che
questa pianta non sia mai colpita dalla folgore." (Tiberii Vita dei Cesari LXIX).
Piuttosto che ad una favola assurda di creazione
popolare, la bella storia Tiberio che fugge a giungere nella tana di
Borgo Rivola, appare quindi una rielaborazione creativa di frammenti
della storiografia classica, forse frutto della riscoperta
rinascimentale degli autori latini. Forse non sapremo mai quando sia
nata a Borgo Rivola la leggenda sulla grotta di Tiberio, e chi per primo
l'abbia raccontata, ma chi l'ha fatto probabilmente sapeva cosa stava
raccontando e di come magicamente con una piccola storia sia stato in
grado di legare una tana ed il suo paese alla grande Storia.
mercoledì 12 marzo 2014
Il misterioso masso delle coppelle
Girando
per le nostre colline, tra gessi e calanchi, è facile imbattersi, anche in
luoghi apparentemente sperduti e non frequentati, in tracce della presenza
umana. Tracce a volte difficili da cogliere a prima vista, segni leggeri, spesso
antichi, a volte misteriosi, come nel caso del grande masso di arenaria nell’ex
Parco Carnè presso Brisighella.
Su una delle
collinette attorno a Cà Carnè, nel bel mezzo di quella che appare una area
omogenea di gesso, il contatto con un affioramento di calcari detti a lucina,
fa comparire anche un buffo masso di arenaria, posto praticamente sulla
sommità. Ma l’interesse del luogo non è tanto nei capricci della geologia,
quanto nella presenza sul masso di almeno una dozzina di coppelle. La coppella si può dire che sia il più semplice ed
il più diffuso dei petroglifi, ovvero delle incisioni realizzate
volontariamente dall’uomo sulla pietra. Si tratta di un incavo tondeggiante,
emisferico, come una piccola ciotola, generalmente del diametro di pochi
centimetri, ricavato dall'uomo sulla superficie di basi rocciose, affioramenti
o massi isolati, chiamati per l'appunto massi
cupellari o pietre a scodella.
Luoghi posti spesso in posizione dominante e panoramica, proprio come il
nostro masso. A differenza di gesso e calcare, l’arenaria sebbene si modelli,
non si scioglie con l’acqua, ed
eventuali segni artificiali realizzati
sulla sua superficie tendono a conservarsi. I petroglifi sono una brutta bestia
da datare, interpretare e generalmente capire. A volte risulta già un impresa
capire se si tratti di segni lasciati dall’uomo o frutto di modellamento
naturale, in particolare proprio quando ci si trova ad avere a che fare con
rocce solubili. Il luogo ideale per le incisioni, sono le grandi bancate di
graniti e gneiss, e non a caso le principali concentrazioni di queste
incisioni, si trovano nell’area alpina. Ma anche l’arenaria da qualche garanzia
quando ci si trovi di fronte a numerose forme anomale come nel caso delle
coppelle. In appennino, in particolare nella parte toscana, su rocce di questo
tipo sono stati identificati numerosi siti con varie tipologie d’incisione. Altro
problema ovviamente è definire a che orizzonte storico riferire una coppella, e
qui il silenzio è la cosa migliore. In molti si gettano rapidamente
sull’interpretazione preistorica, ma esistono numerosi siti con incisioni
realizzate in tempi contemporanei, da pastori e viandanti lungo strade o punti
particolarmente significativi. Ma torniamo al nostro sasso, che ad oggi sarebbe
una cosa più unica che rara, visto che da queste parti di petroglifi e
incisioni, per ora non se ne trovano, ma neanche se ne cercano. Come dicevo il
masso presenta almeno una dozzina di coppelle, alcune appena visibili, altre
ben marcate e profonde, dal diametro variabile da due a cinque sei centimetri,
di profondità anch’essa variabile, e di forma a volte cilindrica e volte conica
terminati a punta. Sebbene non si tratti di roccia particolarmente dura,
l’impressione è che possano essere stati realizzati mediante uno strumento di
metallo, ma siamo chiaramente nell’ambito delle impressioni. Non sembra
trattarsi di buche di palo o altre incisioni utili ad alloggiare strutture, sia
per la dimensione, che per la posizione in cui si trovano. Il masso in se
invece oltre alla posizione dominante e alla particolarità di emergere come
roccia diversa da quelle circostanti, si presenta quasi in forma di sedile.
Molto difficile dire se abbia subito una qualche forma di adattamento,
personalmente non credo, ma è un fatto che ad oggi è possibile usarlo come un
sedile che appare comodo e quasi sagomato. A completare le tracce presenti
sulla roccia, su quello che appare essere lo schienale, si leggono a malapena
almeno due lettere: forse una G e una U. Sempre incise, con un tratto ad oggi
molto leggero, appena visibile e all’apparenza più recenti rispetto alle
coppelle. Questo per quanto riguarda il masso, ma lo stesso non si trova in un
punto qualsiasi, bensì a non più di quattro cinque metri dall’ingresso di
quello che è chiamato l’Abisso Carnè. La grotta, una delle numerose presenti
nella zona, si apre con un grande imbocco che immette direttamente in un pozzo
di una ventina di metri presentandosi abbastanza maestosa. Frequentata
speleologicamente dal 1956, la grotta era però conosciuta da sempre dagli
abitanti delle case vicino, come ci raccontano le stesse relazioni esplorative,
che testimoniarono anche il ritrovamento di alcune bombe della seconda guerra
mondiale. Sempre a seguito della frequentazione speleologica, nella grotta
vennero trovati, oltre ai resti di molti animali, anche quelli di almeno due
esseri umani, a cui non si riuscì a dare nessuna datazione per mancanza di
vestiti o altri riferimenti che potessero fornire un quadro certo. Cosa possano
entrarci le coppelle con tutto questo non è dato di saperlo, ma appare evidente
che il luogo abbia goduto nel tempo di una certa frequentazione. Posto a
cavaliere tra i fondi di alcune grandi doline, coltivate fino a tempi recenti,
in un paesaggio probabilmente spoglio dalla vegetazione, il luogo era
sicuramente un punto significativo, dove il masso emergeva ben più evidente che
ora. Come punto di sosta, osservazione o
semplice passaggio, le incisioni potrebbero essere state realizzate da qualche
contadino del luogo come semplice passatempo, durante la guerra oppure nel mentre dei lavori di
rimboschimento che hanno interessato il cucuzzolo. Eppure le incisioni sono
qualcosa di strano: quando un luogo diventa uno spazio significativo, sembra
essere in grado di trasmettere una certa continuità, e così non è strano
trovare nei medesimi siti di petroglifi,
incisioni riferibili all’età del bronzo, accanto a segni ed incisioni fatte da
pastori appena pochi anni prima. Per ora verità e storia restano avvolte tra
fantasia e suggestione, facendo però in ogni caso del masso del Carnè un luogo
strano, imbevuto di un pizzico di mistero e sicuramente capace di creare e
raccontare più di una storia.
Andrea
Benassi
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